13-2-2011 - VI Domenica del tempo ordinario - anno A
Sir 15,16-21; Sal 118 1Cor 2,6-10; Mt 5,17-37
Omelia
Se vuoi osservare i suoi comandamenti, essi ti custodiranno… Grande infatti è la sapienza del Signore; forte e potente, egli vede ogni cosa. I suoi occhi sono su coloro che lo temono, egli conosce ogni opera degli uomini
Se vuoi… la Parola di Dio è appello ad una libertà che risponde. Al primo posto sta il ‘se vuoi…’ una porta socchiusa, della libertà. E, immediatamente legata sta la fiducia del rapporto personale: “se hai fiducia in lui, anche tu vivrai”. Da questo ‘se vuoi’ e dalla fiducia inizia un possibile cammino in cui la scoperta inattesa e sorprendente è quella di ‘essere custoditi’ dalle sue parole e il poter assaporare le profondità della vita. Entrare nel coinvolgimento di un sì libero: in questo passo di accogliere e consentire si attua l’abbandono della fede, e da qui trae origine un movimento nuovo. Non la pretesa di una vita di cui già si sa tutto, proprietà e dominio rinserrato tra le mani, ma la disponibilità ad essere custoditi dalle parole dell’alleanza. Un sorprendente esproprio vissuto nella responsabilità: quello dell’essere accompagnati a vivere il senso profondo di ogni parola, che declina l’unica parola dell’alleanza e dell’incontro: ‘Io sono il Signore Dio tuo’. Vivere la libertà del ‘se vuoi’ apre allora a scoprirsi guardati da occhi ‘che stanno su coloro che lo temono’ ed incontrare le parole del Signore come via per crescere, con fatica, accompagnati da una pazienza amica, in umanità autentica, in un cammino sempre aperto al futuro… vivrai. Ma è anche cammino esigente, segnato dall’impegno del prendere parte e dello schierarsi di fronte al bene e al male. Non un esser custoditi perché svincolati dalla responsabilità piuttosto un esser custoditi nella responsabilità e gettati in essa. Resi capaci di camminare verso una vita che esprima le sue dimensioni più profonde proprio nella libertà e nella fatica di scelte che parlano di una responsabilità custodita e guardata con uno sguardo di bene.
lo Spirito infatti conosce ogni cosa, anche le profondità di Dio
Anche Paolo parla di una sapienza che non è di chi domina. I dominatori vengono ridotti al nulla e ogni loro sapere si rivela vano. Ma è lo Spirito la presenza dono che comunica una sapienza che non viene meno. La sapienza di Dio, quella sapienza che si è raccontata nella vicenda del crocifisso: stoltezza, follia umana. Come pensare che da un condannato a morte provenga una parola di sapienza? E’ questa la pretesa del vangelo: bella notizia che la vita donata e la morte di Gesù sono il racconto della sapienza di Dio. Il crocifisso è il Signore della gloria, il medesimo, non un altro: in lui si è manifestata la sapienza di Dio, la sapienza dell’amore che ancora subisce la contestazione di essere stoltezza secondo i criteri umani. Paolo ricorda che solamente lo Spirito può rendere accoglienti di questo ‘vangelo’. Vita spirituale prende allora i caratteri di una vita aperta al soffio dello Spirito: lui conosce anche le profondità di Dio, solo Lui può far sì che siamo custoditi dalla parola della croce, stoltezza e debolezza, ma sapienza e potenza di Dio, in modo paradossale, perché è comunicazione dell’amore che salva. Di questa sapienza si avverte anche oggi come sempre il bisogno, da parte di chiese disponibili a lasciarsi cambiare dalla parola della croce.
se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli
Due parole costituiscono l‘ordito della pagina delle cosiddette ‘antitesi’ nel discorso della montagna: ‘avete inteso che fu detto, ma io vi dico…’. La prima parola è ‘se’: ‘se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e farisei’. Gesù chiede ai suoi ‘giustizia’, da tradursi nei termini di una fedeltà sovrabbondante (perché come Dio è giusto perché rimane fedele alle sue promesse e non viene meno così il giusto è colui che compie la parola di Dio in quanto promessa di fedeltà). Chiede il superamento di una logica che si concepisce come pretesa di salvezza attraverso il compimento di norme e delle pratiche della legge. Gesù non richiede infatti l’attuazione di una misura stabilita. Piuttosto rinvia ad un ‘compimento’, ad un ‘portare a pienezza’ in cui non sono indicati i limiti, nel coinvolgimento pieno della vita. Le sue parole divengono così apertura e orientamento, sfida alla libertà, indicazione di percorsi che toccano l’interiorità e che soprattutto vanno alla radice: e per questo la seconda parola chiave è il ‘ma’. Indicazione di una avversativa: ‘ma io vi dico’. C’è una pretesa che risuona in queste parola: deriva da una autorevolezza della vita stessa di Gesù, di cui queste parole sono impregnate. E’ appello perché la vita di coloro che seguono le beatitudini non sia quella di schiavi sotto la legge – pronti a compiere il dovuto – ma di liberi stabiliti nella grazia, e si ponga quindi in una adesione di coscienza, in un movimento del ‘cuore’ della persona. Non è esigenza di essere ‘perfetti’, ma è richiesta e provocazione a guardare al Padre che è nei cieli e mettersi a camminare in una consegna di sé senza riserve, lasciando spazio all creatività liberante della sua parola: ‘ma io vi dico…’.
Dalla Parola alla preghiera
Signore, donaci la forza di ascoltare la tua parola esigente che chiede di non adirarsi contro il fratello…
Aiutaci a fare nostra la tua parola che ci chiede di riconciliarci prima di presentare la nostra offerta all’altare…
Donaci di imparare a vivere relazioni capaci di ascolto e di incontro con gli altri e di non usare mai le persone come oggetti…
La Parola dei Padri
“Se qualcuno esaminerà con fede e serietà il discorso che nostro Signore Gesù Cristo ha proferito sulla montagna, come lo leggiamo nel Vangelo di Matteo, penso che vi riscontrerà la norma definitiva della vita cristiana per quanto attiene a un'ottima moralità. Non osiamo affermarlo alla leggera, ma lo deriviamo dalle parole stesse del Signore. Difatti il discorso si conchiude ad evidenziare che in esso vi sono tutti i precetti che attengono a regolare la vita. Dice infatti: Riterrò simile chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica a un uomo saggio che costruì la propria casa sulla roccia. Scese la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa ed essa non cadde perché era fondata sulla roccia. Riterrò poi chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica simile a un uomo stolto che costruì la propria casa sulla sabbia. Scese la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa ed essa rovinò e fu grande la sua rovina. Non ha detto soltanto: chi ascolta le mie parole, ma ha aggiunto: chi ascolta queste mie parole. Quindi, come ritengo, le parole che ha rivolto stando sul monte educano tanto efficacemente la vita di coloro che intendono viverle che essi sono paragonati a chi costruisce sulla roccia. Ho espresso questo pensiero affinché appaia che il discorso è al completo di tutte le norme dalle quali è regolata la vita cristiana.
(Agostino, Il discorso del Signore sulla montagna, 1,1)
Uno spunto da…
“Non c’è preoccupazione più assillante e più tormentosa per l’uomo, non appena rimanga libero, che quella di cercarsi al più presto qualcuno innanzi al quale genuflettersi. Ma l’uomo pretende di genuflettersi dinanzi a ciò che è ormai indiscutibile, talmente indiscutibile che innanzi ad esso tutti gli uomini in coro acconsentano a una generale genuflessione. Giacché la preoccupazione di queste misere creature non consiste solo nel cercar qualche cosa di fronte alla quale io o un altro qualunque possiamo genufletterci, ma nel cercare una cosa tale, che anche tutti gli altri credano in essa e vi si genuflettano, e anzi, più precisamente, tutti quanti insieme. Appunto questa esigenza d’una genuflessione in comune è il più gran tormento d’ogni uomo preso a sé e dell’umanità nel suo insieme fin dal principio dei secoli. Per bisogno di questa generale genuflessione gli uomini si son massacrati l’un l’altro a colpi di spada. Si son creati dèi e si sono sfidati l’un l’altro:’ Abbandonate i vostri dèi e venite a genuflettervi dinanzi ai nostri: altrimenti , morte a voi e agli dèi vostri!’. E così avverrà fino alla fine del mondo, anche quando saranno scomparsi dal mondo gli stessi dèi: non importa, cadranno in ginocchio dinanzi agl’idoli” (F.Dostojevskij, I fratelli Karamazov, La leggenda del grande inquisitore, ed. Einaudi)
Sono queste le parole che Dostojevskij pone in bocca al Grande inquisitore. In esse racchiude l’idea fondamentale secondo la quale per gli esseri umani è fatica e dolore accettare la sfida della libertà. Il grande inquisitore stesso si presenta come il più grande benefattore degli uomini, perché con il suo potere, li ha liberati dalla fatica della libertà, procurandone l’illusione. Egli ha donato la felicità rispondendo alla sete di genuflettersi e di consegnare ad altri la propria libertà. E accusa invece Cristo di essere colui che porta la più pesante sofferenza e infelicità all’umanità, cioè la fatica della libertà.
Per il grande inquisitore la libertà è privilegio di pochi. I molti invece possono solo vivere nel genuflettersi, nell’alienare la propria responsabilità che viene assunta dall’autorità. “Essi si stupiranno di noi e ci terranno in conto di dèi in compenso del fatto che, trovandoci alla loro testa, noi avremo acconsentito ad abolire la libertà, che faceva loro paura, e a porli sotto il dominio nostro: tanto tremndo finirà col sembrar loro essere liberi”. Così il grande inquisitore è colui che addomestica l’umanità procurando la liberazione dalla responsabilità. Rivendica di essere lui il difensore dei deboli, che non possono portare il peso della libertà. “Ma noi diremo che obbediamo a te, e che dominiamo nel nome Tuo. Noi li inganneremo di nuovo, giacché a Te non permetteremo più di accostarti a noi”. Di fronte al debordante parlare del Grande inquisitore si contrappone il silenzio prolungato di Cristo, il Cristo ritornato nella piazza a Siviglia, e che incontra un mondo rappresentato nella piazza gremita e con presenza della corte, di re cavalieri, cardinali e dame al seguito, un mondo in cui potere politico e potere religioso si sono intrecciati e mescolati. Il suo silenzio esprime la scelta non genuflettersi all’inquisitore, così come non si era genuflesso alla domanda delle tentazioni nel deserto di accettare i pani, che pretende di avere potere su di lui ed egli risponde unicamente con due enigmatici segni, il bacio e l’andarsene silenzioso.
Dalla Parola alla vita
Due spunti in questa settimana, il primo da un parallelo che Gustavo Zagrebelski suggerisce tra quanto avviene nelle ville di Arcore e quanto si sta consumando nella vita sociale italiana, il secondo è una voce critica dall’interno della chiesa, voce di teologhe e teologi tedeschi che sollevano problemi non nuovi ma rinnovano l’espressione di una sofferenza ed anche suggerimenti di impegno.
1.
“…tra le mura di residenze principesche, per quanto sappiamo, viene messo in scena, una scena in miniatura, esattamente ciò che avviene sul grande palcoscenico della politica nazionale. Le notti di Arcore assurgono a simbolo facilmente riconoscibile, in versione postribolare, di una realtà più vasta che ci riguarda tutti. È un simbolo che ci mostra in sintesi i caratteri ripugnanti di un certo modo di concepire i rapporti tra le persone, nello scambio tra chi può dare e chi può ottenere. È lo stesso modo che impera e nelle stanze d'una certa villa privata e in certi palazzi del potere. Questo, credo, è ciò che preoccupa da un lato, indigna dall'altro.
Non troviamo forse qui (nella villa) e là (nel Paese), gli stessi ingredienti? Innanzitutto, un'enorme disponibilità discrezionale di mezzi - danaro e posti - per cambiare l'esistenza degli altri attraverso l'elargizione di favori: qui, buste paga in nero, bigiotteria, promozioni in impensabili ruoli politici distribuiti come se fossero proprietà privata; là, finanziamenti, commesse, protezioni, carriere nelle istituzioni costituzionali (la legge elettorale attuale sembra fatta apposta per questo), nell'amministrazione pubblica, nelle aziende controllate. Dall'altra parte, troviamo la disponibilità a offrire se stessi, sapendo che la mano che offre può in qualunque momento ritrarsi o colpirti se vieni meno ai patti. Cambia la materia che sei disposto a dare in riconoscenza al potente: qui, corpi e sesso; là, voti, delibere, pressioni, corruzione. Ma il meccanismo è lo stesso: benefici e protezione in cambio di prove di sottomissione e fedeltà, cioè di prostituzione. Ed è un meccanismo omnipervasivo che supera la distinzione tra pubblico e privato, perché funziona ogni volta che hai qualcosa da offrire che piaccia a chi ha i mezzi per acquisirlo”.
(G.Zagrebelski, Le notti di Arcore e la notte italiana, La Repubblica 4 febbraio 2011)
2.
Il 3 febbraio 2011 è stato pubblicato nel quotidiano tedesco “Süddeutsche Zeitung” (http://www.sueddeutsche.de/politik/memorandum-der-theologen-kirche-ein-notwendiger-aufbruch-1.1055197) un ‘Memorandum’, documento sottoscritto da 143 teologhe e teologi tedeschi che solleva la questione di “riforme che tocchino in profondità” la chiesa in particolare dopo l’ultimo anno che ha visto una crisi senza eguali in area tedesca a seguito della conoscenza pubblica di casi di abusi sessuali nei confronti di bambini e adolescenti in collegi religiosi. Di seguito una ampia sintesi (in mia traduzione).
“Nell’ultimo anno molti cristiani come mai prima d’ora hanno abbandonato la chiesa; hanno reso note alle autorità il loro ritiro o si sono rifugiati nel privato per quel che riguarda la loro esperienza di fede, per difendersi dall’istituzione”.
Così continua il documento presentando alcuni ambiti in cui condurre un dialogo aperto:
“La Chiesa non è un fine in se stessa. Essa ha il compito di annunciare a tutti gli uomini il Dio di Gesù Cristo che libera e che ama. E ciò lo può fare solamente se essa stessa è un luogo ed una testimone credibile dell'annuncio di libertà del Vangelo. Il suo parlare e il suo agire, le sue regole e le sue strutture – tutto il suo rapporto con gli uomini all'interno e all'esterno della Chiesa – derivano dall'esigenza di riconoscere e favorire la libertà degli uomini in quanto creature di Dio. Rispetto incondizionato per ogni persona umana, attenzione alla libertà di coscienza, impegno per il diritto e la giustizia, solidarietà con i poveri e gli oppressi: questi sono i criteri teologici fondamentali, che derivano dall'impegno della Chiesa verso il Vangelo. In ciò si rende concreto l'amore a Dio e al prossimo. L'orientamento all’annuncio biblico della libertà implica un rapporto differenziato nei confronti della società moderna: in alcuni ambiti, essa è più avanti rispetto alla Chiesa, quando si tratta di riconoscimento di libertà, di maturità e di responsabilità dei singoli; in tutto ciò la Chiesa può imparare, come ha già affermato il Concilio Vaticano II. Sotto altri punti di vista, è imprescindibile una critica proveniente dallo spirito del Vangelo nei confronti di questa società, ad esempio quando le persone vengono giudicate solo per il loro rendimento, quando la reciproca solidarietà viene
calpestata o quando è violata la dignità delle persone. In ogni caso però, ciò che conta è che l'annuncio di libertà del Vangelo costituisce il criterio per una Chiesa credibile, per il suo agire e la sua immagine sociale. Le sfide concrete che la Chiesa deve affrontare non sono affatto nuove. Tuttavia non si riescono a cogliere riforme che guardino al futuro. Un dialogo aperto deve essere condotto nei seguenti campi.
(…)
in tutti i campi della vita ecclesiale la partecipazione dei credenti è la pietra di paragone per la credibilità dell'annuncio di libertà del Vangelo. In coerenza con l'antico principio giuridico “Ciò che riguarda tutti, deve essere deciso da tutti” occorrono più strutture sinodali a tutti i livelli della Chiesa. I credenti devono essere resi partecipi alla scelta di importanti ministri (vescovo, parroco).
(…)
I credenti restano lontani, se non viene data loro la fiducia di prendere su di sé corresponsabilità e di partecipare in strutture democratiche alla direzione delle loro comunità. Il ministero ecclesiale deve servire alla vita delle comunità – non il contrario. La Chiesa ha bisogno anche di preti sposati e di donne nel ministero ecclesiale.
(…)
Difesa del diritto e cultura del diritto nella Chiesa devono essere urgentemente migliorati.
(…)
Rispetto per la coscienza individuale significa riporre fiducia nella capacità di decisione e di responsabilità delle persone. Sostenere questa capacità è anche compito della Chiesa; (…) L'alta considerazione della Chiesa per il matrimonio e per la forma di vita senza matrimonio è fuori discussione. Ma essa non richiede di escludere le persone che vivono responsabilmente l'amore, la fedeltà e la cura reciproca in una unione omosessuale o come divorziati risposati.
(…)
La solidarietà con i peccatori presuppone di prendere sul serio il peccato nelle proprie file.
(…)
La varietà culturale arricchisce la vita liturgica e non può accordarsi con le tendenze verso una unificazione centralistica. Solo quando la celebrazione della fede accoglie concrete situazioni di vita l'annuncio della Chiesa raggiungerà le persone”.
Alessandro Cortesi op