6-12-09 - II Domenica di Avvento – Anno C
Bar 5,1-9; Fil 1,4-6.8-11; Lc 3,1-6
“Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio, metti sul capo il diadema di gloria dell’eterno, perché Dio mostrerà il tuo splendore ad ogni creatura sotto il cielo. Sarai chiamata da Dio per sempre: pace della giustizia e gloria della pietà”
La città presentata come una donna, Gerusalemme, è invitata a togliersi i vestiti del lutto, ad indossare invece gli abiti della festa e dell’onore. Il perché sta nelle parole di coraggio e di consolazione provenienti da Dio stesso: “Coraggio Gerusalemme! Colui che ti ha dato un nome ti consolerà” (Bar 4,30). Egli solo può capovolgere una situazione senza uscita e la parola profetica è comunicazione di un Dio presentato con i tratti di colui che rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili. Egli ha dato il nome a Gersalemme, e consola. La città-donna deve rivolgere lo sguardo ad oriente, da dove proviene la luce. Da lì giungono i suoi figli riuniti, non più dispersi, desolati, a piedi, ma in trionfo, come sopra un trono. L’esperienza del ritorno dall’esilio sta dietro all’immagine dei monti abbassati e delle valli colmate per fare spazio ad una via sulla quale possa camminare il popolo del Signore. Anche il salmo 125 canta questa situazione del ritorno. “Quando il Signore ricondusse i prigionieri di Sion, ci sembrava di sognare… Grandi cose ha fatto il Signore per noi, ci ha colmato di gioia. Riconduci, Signore, i nostri prigionieri! Chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo” (Sal 125)
E’ una pagina è attraversata da una grande corrente di speranza: la presenza di Dio, la sua cura, capovolge le sorti di dolore del suo popolo ed apre alla speranza come attitudine di apertura ad un futuro in cui il male è vinto e al centro sta l’incontro. E’ una speranza unita alla gioia: “Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria”.
“Voce di uno che grida nel deserti: preparate la via del Signore”
Il vangelo di Luca è un grande testo di speranza: tutto inizia in un’atmosfera segnata da un tempo che volge alla fine, segnato dall’anzianità e dalla sterilità: Zaccaria è un vecchio, Elisabetta è anziana e sterile, così pure altri personaggi avanti negli anni popolano le prime pagine di questo vangelo, Simeone, Anna. Eppure questo mondo è attraversato da una corrente di gioia e di novità. In questa realtà che appare chiusa senza prospettive e senza speranza ‘la parola di Dio scende’. La predicazione di Giovanni Battista indica due orizzonti: vede innanzitutto profilarsi la salvezza di Dio, e un giudizio che è presentato come imminente di questo tempo che cambierà questa storia, e richiama ad una preparazione, ad un cambiamento radicale di mentalità nella vita: indica una via da preparare. La speranza investe un presente che diviene ‘oggi’ di salvezza. Il deserto è il luogo geografico e simbolico, lontano dal tempio, lontano dai sacerdoti, lontano anche dalle costruzioni religiose legate all’osservanza della legge, in cui l’annuncio si fa più chiaro e forte: preparare la via.
Luca presentando il Battista in rapporto a Gesù è attento alle date che indicano tempi e luoghi precisi: nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea. E’ così descritto così il momento storico in cui Gesù si presenta sulla scena della vita palestinese nel I secolo: con grande probabilità questo momento è attorno al 28 d.C. e Gesù sviluppò la sua attività pubblica per circa due anni e mezzo fino al 30.
Luca ci sta dicendo che Gesù non è un personaggio mitico, ma una persona reale che ha vissuto la sua esistenza in un tempo e in uno spazio. Siamo invitati ad accostarlo a partire dalla sua esperienza storica, attenti a ciò che ha fatto e detto. In questo percorso potremo scoprire in lui il volto del Figlio che si è fatto uomo.
La figura di Giovanni Battista è presentata con i tratti ripresi da un brano del Secondo Isaia: “Una voce grida: ‘Nel deserto preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro. Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in pianura. Allora si rivelerà la gloria del Signore e ogni uomo la vedrà poiché la bocca del Signore ha parlato” (Is 40,3-4)
“sono persuaso che colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù”
Paolo osserva la vita di una comunità e richiama alla radice di ogni cammino credente. Tutto proviene dal dono di giustificazione in Cristo: tutto proviene dalla gratuità del Padre e la vita che sgorga da questo momento è opera di Dio. E sarà ancora Lui, che ha iniziato a portare a compimento. E’ ancora una parola di speranza che non toglie la responsabilità, ma la situa al suo posto giusto, invitando a cogliere la centralità della presenza e dell’agire di Dio nella vita e nella storia della fede.
Possiamo leggere queste pagine cercando di cogliere un invito per noi oggi.
Ci possiamo chiedere come viviamo l’incontro profondo nella fede con Gesù, e possiamo lasciarci provocare a ripercorrere i tratti del suo agire storico, del profilo terreno di Gesù che ha vissuto nel tempo e in un luogo. Spesso la nostra fede in Cristo non compie questo cammino. Nell’avvicinarsi al profilo di Gesù terreno forse potremo scoprire tratti che ci invitano a rivedere le nostre posizioni, ad essere fedeli a quel Gesù così umano che nel suo agire ha raccontato il volto di Dio. Proprio nella sua umanità.
Il battista è colui che prepara la via. Il grande peccato della nostra esistenza è prendere il posto di Dio, peccato è quando la chiesa pone stessa al posto di Cristo e pretende di porsi in termini autoritari e come potenza tra i poteri. La chiesa è ordinata al regno di Dio che Gesù ha annunciato. Un ritorno a questa prospettiva oggi è quanto mai urgente: è quella riforma della chiesa auspicata dal Vaticano II. E’ un rivedere forme e comportamenti in rapporto al vangelo, riandando ai gesti e alle scelte di Gesù.
Una fiducia profonda nella presenza di Dio da cui tutto ha inizio e in cui tutto trova compimento può essere il modo di affrontare le nostre giornate quando cominciano e quando si concludono, affidando al Signore quanto abbiamo potuto compiere ma chiedendo che sia Lui a portare a compimento l’opera buona che è il cammino della fede.
Alessandro Cortesi op