13-12-09 - III Domenica di Avvento - Anno C
Sof 3,14-18; Fil 4,4-7; Lc 3,10-18
“Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia”
Queste parole sono state scritte da un profeta contemporaneo di Geremia, nel tempo buio dell’esilio d’Israele, quando tutto era perduto. ‘Non temere’ è invito di fiducia: La cosa importante da cogliere è il motivo che sta alla base di questo invito. La paura ed il senso di insicurezza oggi così diffusi ed anche indotti attraverso un uso mirato dei mass media, trova immediatamente rassicurazione nella prospettiva del rafforzamento degli strumenti militari o repressivi. L’invito a ‘non temere’ è così motivato da una operazione di forza umana, dall’uso della violenza per sconfiggere paure e insicurezze, dal ‘si vis pacem para bellum’. Nel testo che leggiamo il motivo di fondo per ‘non temere’ è diverso e va alla radice dell’insicurezza. La paura proviene dalla solitudine, dal non comunicare, dal non poter incontrare l’altro con cui far intercorrere la parola. Motivo per non temere, dice Sofonia, è invece la consapevolezza di una relazione con Dio che ha cura e gioisce per te. E’ una presenza vivente, la presenza di Dio, il suo dimorare in mezzo alla vita, alla storia: è presenza che apre al dialogo. E’ una presenza nascosta eppure reale, come di un bimbo che sta dentro il grembo della madre, ‘in mezzo a te’. Motivo del non temere è anche lo sguardo e il progetto di Dio: ‘gioirà per te, esulterà per te’, dove il ‘tu’ a cui si rivolge è un ‘tu’ comunitario, è la vita di un popolo. Mi sembra che questo sia il punto centrale di questa pagina: lasciare che Dio sia Dio, che sia la sua potenza a trasformare una vita che si fa con-vivere, lasciarsi coinvolgere in questo rapporto vivente, e consentire al progetto di salvezza e di comunicazione di vita che questo rapporto sottende e dona. E’ un invito a de-centrare il nostro sguardo e a lasciarsi cambiare dall’agire di Dio. Nell’esperienza del dolore l’invito a rallegrarsi trova radice e motivo nella gioia di Dio che rinnova, che fa sorgere cose nuove.
E’ questo il senso profondo del cammino di avvento come itinerario interiore a lasciare spazio ad una venuta che non è opera nostra ma è di ‘colui che viene’, del sempre veniente nelle nostre vite.
“Fratelli siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino… la pace di Dio custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù”
La gioia di Dio è energia che feconda e suscita una gioia umana, del credente non come individuo separato e solo, ma membro vivo, partecipe di una comunità. Le parole della appassionata lettera di Paolo alla comunità di Filippi sono dense di affetto e di desiderio di comunicare il cuore dell’esperienza stessa di Paolo. Sulla via di Damasco egli ha scoperto la vicinanza del Signore, ha visto trafiggere i suoi occhi dalla luminosa presenza di qualcuno con cui instaurare una relazione che coinvolge tutta l’esistenza. Per Paolo tutta la vita diviene tensione ad essere ritrovato ‘in Cristo’. E’ la meraviglia della comunione, di un rapporto vivente e vitale, di presenza intima che fa vedere tutto il resto in una nuova luce. Paolo esprime questo nei termini della pace di Dio. Ci si può chiedere se ogni tentativo di costruzione della pace umana e terrena non sia in qualche modo un agire per liberare gli spazi alla pace di Dio che custodisce le esistenze dei volti umani in Cristo Gesù.
E’ questo un motivo di conforto per tutti coloro che operano per la pace e spesso oggi sono tacciati di idealismo o utopismo e disprezzati perché non considerano la malvagità e la violenza presente nella storia, e quindi non si piegano alle logiche della violenza per vincere la violenza stessa.
La lettera ai Filippesi offre una prospettiva che diviene eco della beatitudine di Gesù ‘beati i miti perché avranno in eredità la terra’. Non chi si pone con arroganza e presunzione ma i miti avranno in eredità la terra. E gli operatori di pace saranno chiamati figli di Dio. Paolo invita così alla amabilità, ad un modo di intendere la vita non da potenti o da conquistatori, ma con lo stile di chi contagia benevolenza e mitezza con il proprio agire, con lo stile della sua vita.
“Io vi battezzo con acqua ma viene colui che è più forte di me…Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio, ma brucerà la paglia con fuoco inestinguibile”
Luca presenta la figura del battista come un predicatore di un giudizio di condanna e di salvezza, come asceta e testimone che annuncia che la scure sta già per colpire l’albero e abbatterlo. Presso di lui, nella regione del Giordano, diverse categorie di persone accorrono chiedendo ‘che cosa dobbiamo fare?’ L’accento sta sulla penitenza e la conversione per prepararsi ad un intervento di Dio come giudizio. C’è anche un significativo silenzio sulla questione delle osservanze di tipo religioso o riguardo al culto del tempio. Il rapporto con Dio avviene al di fuori delle strutture ufficiali religiose, passa dalle pieghe non considerate della storia. E’ questo il tratto affascinante della figura e della predicazione del Battista che a differenza di altri movimenti suoi contemporanei – si pensi a Qumran – non pensava ad una élite di puri che dovevano prepararsi in una tensione di purificazione legata alle osservanze religiose, alla fine del tempo e all’intervento di Dio, ma offriva una possibilità di conversione per tutti, senza limiti, confessando il peccato e compiendo il gesto del ricevere il lavacro con l’acqua, il battesimo al Giordano. Eppure il battista – ci dicono i vangeli – rimase spaesato, dubbioso di fronte alla predicazione di Gesù e, quando già era in carcere, mandò a lui alcuni suoi discepoli per chiedergli: ‘sei tu ‘il veniente’, colui che deve venire?’. Domanda che è espressione di un dubbio e di una profonda incapacità di comprendere. Giovanni rimane spaesato perché lo stile di Gesù è diverso dalle sue attese. Egli attendeva un giudizio di fuoco, Gesù nei suoi gesti presenta una offerta di salvezza per tutti, un gratuito farsi vicino del Dio della vita e i segni del suo avvicinarsi sono la vista per i ciechi, la possibilità di camminare agli zoppi, la purificazione ai lebbrosi, l’udito ai sordi, la vita a chi è morto, la bella notizia ai poveri (Mt 11,2-6; Lc 7,18-28).
‘Beato è colui che non trova in me motivo di scandalo’: Gesù disorienta le attese del Battista ed invita a non ‘inciampare’ per questo scarto che i segni del suo agire provocavano rispetto alle attese di un Dio potente e della forza. Ha una grande stima e rispetto per questo profeta degli ultimi tempi, ma vede come il più piccolo nel regno di Dio è più grande del Battista. Gesù presenta un ‘regno’ che è accoglienza di una relazione donata con un Dio che si piega sulle fragilità e rialza, che sa gioire e comunica gioia, che entra nella storia in punta di piedi, con la mitezza dei poveri.
Alessandro Cortesi op