29-11-09 - I Domenica di Avvento - Anno C
Ger 33,14-16; 1Tess 3,12-4,2; Lc 21,25-28.34-36
“Verranno giorni – oracolo del Signore – nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda”
Ha inizio il tempo di Avvento che introduce un nuovo anno della liturgia: è tempo della venuta, e per questo tempo di attesa e di cambiamento: è tempo in cui lasciar trasformare il proprio cuore in un cuore attento e più sensibile alla presenza di Dio che continua a chiamarci, ed al suo visitarci negli altri che incontriamo.
Il tempo di avvento ci ricorda innanzitutto che al cuore della nostra vita, della storia e del cosmo stesso sta non un progetto umano, o una costruzione del nostro potere, ma un dono e una venuta: è il venire di qualcuno, di un volto. Tutta la storia è segnata da una promessa e da un dono di benedizione. Le promesse di bene fatte alla casa d’Israele sono le promesse di un Dio fedele che non viene meno. Siamo richiamati ad ascoltare tali promesse, ad aprire la nostra vita al venire di Dio che ci raggiunge e ci visita. E’ Dio che fa germgogliare nelle nostre esistenze una novità che supera ogni attesa. La sua promessa rinvia non solo ad un tempo che ci sarà, un futuro, ma apre ad un avvenire, tempo visitato da una venuta, da un incontro.
“Vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù. affinché… possiate progredire sempre più”
‘Vi supplichiamo di camminare e di progredire’ è, letteralmente, la preghiera al centro della seconda lettura. Si tratta di ‘camminare’ e crescere in alcuni atteggiamenti che Paolo ha indicato poche righe sopra: “il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti”. Progredire è altro termine per indicare il germogliare: la crescita e la maturazione di una vita che va verso l’alto, e non rimane bloccata in tutto ciò che la chiude e la rende ripiegata e insignificante. Ciò che fa salire e crescere è la capacità di amare. Ma non solo questo: sovrabbondare nell’amore, fra voi e verso tutti. C’è un verbo di abbondanza inanzitutto. Non solo un amore chiuso all’interno di una comunità: è questo un primo livello, un amore reciproco, ricambiato e vissuto fra vicini. Ma c’è anche un aprirsi agli altri che intende in modo nuovo non solo il ‘fra voi’ dei rapporti interni di legami già stretti, ma anche ‘verso tutti’. Trovo molto bello e attuale questo invito e questa preghiera in un momento storico in cui dovremmo scoprire i modi e i gesti dell’attenzione a quei ‘tutti’ che sono gli altri, gli stranieri, i poveri, tutti coloro che per motivi sociali o religiosi sono lasciati ai margini, anche di una chiesa più attenta e preoccupata dei primi e dei potenti piuttosto che degli ultimi. Non sta forse in questa apertura la testimonianza che i cristiani dovrebbero dare, con pacatezza ma anche con serena decisione oggi, facendo scelte di accoglienza ‘verso tutti’ offrendo una via alternativa in un contesto in cui prendono piede a livello sociale, politico e religioso modelli e pensieri di esclusione e di discriminazione dell’altro per motivi sociali, di provenienza culturale o di genere?
“Alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina… state bene attenti… vegliate e pregate in ogni momento”.
La prima comunità cristiana ha da subito percepito la propria esperienza in rapporto a diverse venute: Dio è sceso a visitare il suo popolo nella storia della salvezza del Primo Testamento, e la creazione stessa è dono d’incontro. Dio ci ha visitati nella vicenda storica di Gesù di Nazareth. Il tempo che segue alla morte e risurrezione di Gesù è segnato dal venire dello Spirito ed orientato alla venuta finale del Cristo glorioso, ‘figlio dell’uomo tra le nubi’ (Lc 21,27).
Per questo una delle più antiche brevi preghiere delle comunità cristiane è un'invocazione perché il signore venga: ‘Marana thà, vieni Signore Gesù’.
Luca pone tutta l’attività di Gesù sotto il segno di un annuncio di liberazione per tutti. Il tempo della chiesa è tempo in cui vigilare. Vegliare è il verbo dell’attesa e dell’attenzione a non lasciarsi appesantire il cuore innanzitutto. Un cuore pesante, occupato di tante cose intuili è un cuore che non lascia più spazio all’attesa e all’ospitalità. Vegliare significa quindi mantenere occhi aperti per saper scorgere situazioni e circostanze, i segni, che costituiscono le chiamate di Dio al di dentro della storia. Come fece il samaritano, unico in grado di fermarsi dopo aver veduto, come gli altri colui che soffirva lungo la strda. Vegliare è disponibilità a prendere su di sé fatiche e sofferenze degli altri, a seguire Gesù, presentato da Luca come il testimone che non salva se stesso quando tutti attorno lo sfidano dicendo ‘ha salvato gli altri, salvi se stesso’ (Lc 23,35.37.39). Gesù salva vivendo fino in fondo la solidarietà di un amore aperto a tutti: la sua vita ci ha raccontato il volto del Padre misericordioso che va in cerca dei suoi figli, va loro incontro e li visita per far scoprire la gioia dell’abbraccio, dell’essere accolti e visitati.
Alessandro Cortesi op