30-5-10 - Solennità della SS. Trinità - Anno C
Prov 8,22-31; Rom 5,1-5; Gv 16,12-15
Omelia
“Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà alla verità tutta intera”
C’è un futuro aperto nella promessa di Gesù: quando verrà vi guiderà. E c’è la dolce promessa di una presenza, di una compagnia. Non di una compagnia qualsiasi, ma di qualcuno che la strada la conosce, che sa accompagnare nell’orizzonte di ciò che dà senso e spessore alla nostra esistenza. Nella vita di ognuno ci sono attese ed una sete palese o nascosta. C’è in particolare sete di verità da intendersi come senso più profondo del vivere, nel presente, in rapporto al passato e al futuro. Al cuore di ogni percorso umano c’è una ricerca e una attesa di compimento della propria umanità, di raggiungere non solo obiettivi dei desideri ma la tensione ad un fiorire di ciò che si percepisce ancora in germe nel proprio presente, delle attese di liberazione da paure, angosce, morte. Tanti oggi rifuggono, in qualche modo saggiamente, da termini altisonanti come verità, giustizia, bontà, amore… Rifuggono anche dalle istituzioni religiose, che questi termini presentano con pretesa di assolutezza e di esclusività. In un mondo popolato dalle tante religioni, dai tanti e diversi cammini, dalle tante verità si avverte la pochezza di orizzonti in cui si contrappongono verità assolute che per affermarsi giungono all’eliminazione dell’altro, con la violenza, con il disprezzo, nel senso di superiorità. Anche nella vita politica si conosce bene lo svuotamento, l’uso strumentale quando non il tradimento di cui alcuni termini sono oggetto. Quanti tradimenti della verità dietro l’affermazione di verità assolute. Quanta ipocrisia, corruzione e malaffare dietro i proclami dell’amore sbandierato come programma politico. Quanta retorica vuota in una religione che proclama verità metafisiche ma è incapace di sguardi e gesti di misericordia, di coerenza di impegno e di sincera premura per i volti concreti delle persone. Spesso non si coglie il valore e la dignità del rifiuto, anche della religione, da parte di tanti che mantengono nel proprio cuore una esigenza – questa sì profonda e autentica – di verità. Di verità come di qualcosa che sia fedeltà e senso per la vita. Di questo abbiamo bisogno. L’ebraico per dire la verità usa un termine che indica fedeltà, fiducia, relazione. Con riferimento all’immagine della roccia, un appiglio solido – è sufficiente una piccola sporgenza – per procedere nella ascensione, per andare avanti, per non cadere. La verità si colloca in un orizzonte di tensione e di cammino.
“Quando verrà lui, lo Spirito di verità, vi guiderà alla verità tutta intera”. Nel IV vangelo si parla di verità come di una realtà vivente: la verità è qualcuno. Di qui la verità si fa, si compie: è un incontro. La verità non è nell’ordine del sapere, dell’ideologia, ma è qualcuno con cui instaurare una relazione personale. Gesù dice ‘Io sono la verità’. La vita di Gesù è offerta di un senso della vita che sta nel dono, nella relazione. La verità si pone nell’orizzonte di un cammino di incontro. E’ relazione. Gesù promette una presenza di guida perché quest’incontro durerà per tutta la storia. La verità tutta intera sta oltre: finora si sono colti solo alcuni aspetti. Sarà lo Spirito a guidare. Perché mai si può possedere la sua presenza chre ancor arimane nascosta, ma sempre si è chiamati a lasciarsi invitare per accogliere, per dare ospitalità a lui che ci viene incontro. Lo Spirito ricorderà, ma anche apre a tutto ciò che ancora non è vissuto in questo rapporto. E’ a Pentecoste, nell’esperienza del dono dello Spirito che la prima comunità si apre a cogliere lo spessore di parole ascoltate da Gesù e trova un po’ di chiarore sui suoi gesti. Il suo pregare, il suo affidamento a Dio il Padre, la sue scelte preparate in una solitudine abitata. E così la sua promessa: ‘non vi lascerò soli’. La bella notizia che Gesù lascia ai suoi è che nella vita non saremo lasciati soli, non saremo abbandonati nella dimenticanza e nell’indifferenza: ma saremo accolti, invitati ad entrare, ad essere coinvolti in un incontro. C’è qualcuno che guiderà, lo Spirito, a visitare case e luoghi in cui c’è una sua presenza che chiama e che ancora non sono stati visitati. Non è invito a compiere un’opera che viene dalle proprie capacità: è piuttosto esperienza che sgorga dalla vita stessa di Dio e coinvolge e suscita libertà. E’ il parteciparsi della vita di Dio che si compie tra le pieghe degli incontri perché la sua vita è dialogo. Gesù stesso viene da un incontro. Il suo essere più profondo è uno ‘stare rivolto verso’ il Padre. E’ lui che promette e dona lo Spirito. Un volto di Dio comunione nella relazione, danza di scambio in cui l’unità non è mai uniformità e dove la diversità non è separazione, ma dono di presenza in relazione. Potremmo forse parlare di ‘verità relativa’ per il Dio di Gesù se questa espressione non fosse subito catalogata come deviante e contraddittoria da parte di chi - anche secondo una lettura legittima – la legge come affermazione di ‘relativismo’. Gesù ci ha parlato con la sua vita della verità ma non in modo vuoto. Ha sempre preso posizione a favore dei poveri e dei peccatori. Si è lasciato toccare dal grido e dal volto sofferente dell’altro. Ci ha così indicato la via di una verità come sollecitudine, relazione, che si attua nel ‘farsi prossimo’. Una verità relazionale. Relativa ad ogni volto, ad ogni cammino, a tutte le verità presenti nei cammini umani e religiosi: in questo sta il paradosso dell’incarnazione, di un Dio che fa spazio all’altro da sé per incontrare e per manifestare il suo volto di relazione. Il volto di un Dio trinitario può essere spesso frainteso come costruzione avulsa dalla realtà del nostro vivere e dei nostri problemi. E’ invece la testimonianza che Gesù ci ha presentato di una possibilità e di un futuro che si apre, grembo dei desideri più profondi di amicizia e comunione di ogni uomo e donna, porto delle attese nascoste nei cuori di uscita dalla solitudine, di liberazione da tutto ciò che impedisce di incontrare l’altro. Compagnia in quell’incontro che sgorga da lontano e che si fa esperienza quotidiana laddove gesti di accoglienza, l’ospitalità offerta, e il movimento della vita come danza rivelano il volto di un Dio Verità relazionale. Oggi nel nostro mondo segnato dalle migrazioni, dalla pluralità delle culture, dei volti e delle storie, l’incontro con lo straniero, l’ospitalità dell’altro, l’accoglienza del povero costituiscono uno dei segni profetici di annuncio del volto del Dio di Gesù, uno dei segni che parlano ed indicano il volto di Dio Trinità. E dove Dio abita.
Uno spunto da…
“Io mi chiamo Nino e ho dieci anni.
Vivo in più di mille periferie,
ho parenti neri, bianchi e gialli, e ogni giorno subisco soverchierie.
La mia storia è un grido su bocche mute, una di quelle storie taciute.
Io mi chiamo Nino e tu devi ascoltarmi: è da quando esisto che su di me
alzano la voce e anche le mani.
Il male che fa dentro tu non sai quant’è…
La mia storia è un grido che non ha fine, da quanto tempo io sento dire:
Non possiamo chiudere gli occhi, guarda lì cosa succede,
non possiamo chiudere gli occhi, dillo a chi non vuole vedere.
Il risveglio delle conoscenze più non tarderà,
sarà questa la notizia sconvolgente quando arriverà… .
La mia storia è un grido di sofferenza, in mezzo a troppa indifferenza.
”
(Eros Ramazzotti, dall’album ‘Ali e radici’ 2009.
http://www.youtube.com/watch?v=LZqWChoJ1pQ)
In questo brano della canzone ‘Non possiamo chiudere gli occhi’ di Eros Ramazotti le parole risuonano come spietata presentazione della solitudine di un bambino, di dieci anni, abitante di più di mille periferie. La sua vita è grido, ma è grido soffocato, presente in bocche mute, una storia non raccontata e che invoca di essere conosciuta. “Dillo a chi non vuol vedere…”.
E’ una storia di solitudine, di soprusi subiti, di ingiustizia. E’ la storia di tanti Nino, che attendono che si aprano gli occhi di chi spesso non vuole vedere o non riesce a vedere perché occupato da una realtà presentata in modi deformati. Chi detiene il potere tende a nascondere ed eliminare le presenze di disturbo in un mondo presentato come patinato segnato dalla promessa di uno sviluppo sempre più alto, dal mito del benessere, dall’induzione di bisogni ad avere sempre di più, a consumare, ad apparire. Una vita peraltro di folle di individui soli che spesso si ritrovano in ambienti affollati ma senza vivere percorsi di quella comunicazione semplice e viva che fa il tessuto autentico della vita umana.
Nino è bambino di periferia, a cui non si guarda mentre ondate di gente affollano i centri commerciali, gremiscono gli stadi, si radunano in concerti assordanti. E tutt’intorno la solitudine opprime chi è più fragile. C’è un male visibile, oggettivo, fatto di ingiustizie e sorpusi, ma c’è anche un male che sta dentro ai cuori, da considerare, di cui sentire il gemito che viene dai più fragili. Non si contano oggi le aree di fragilità: i malati, gli anziani, gli stranieri… chi sta nelle periferie, lontano dai centri – o nascosti negli stessi angoli dei centri - dove pur regna la religione del consumo scriteriato e dello spreco indifferente. C’è una terra devastata, madre di tutti, che dice il suo dolore. Da un lato l’indifferenza dall’altro il dolore muto: “La mia storia è un grido di sofferenza, in mezzo a troppa indifferenza”.
L’annuncio di Dio trinitario è bella notizia che rompe con l’indifferenza e con la solitudine, che apre ad una logica diversa la vita: è un annuncio che attende sempre e ancora di essere comunicato. Il non dimenticarsi dell’altro, quando è solo, il piccolo gesto della visita, la scelta di offrire parte delle proprie energie e del proprio tempo nella cura e nella sollecitudine per l’altro o per generare nuova consapevolezza della vita di chi è ai margini, sono atteggiamenti possibili, superamento dell’indifferenza, traccia del volto di un Dio di incontro e comunicazione,
Dalla Parola alla vita
Riporto qui di seguito una pagina del libro Pregare, viaggiare meditare. Percorsi interreligiosi tra cristianesimo buddhismo e nuove forme di spiritualità (ed. Claudiana 2010) di Giampiero Comolli in cui è offeta una vivace e interessante lettura della condizione di ‘nomadismo religioso’ nella società contemporanea, presente nelle diverse fedi.
“Da qualche anno a questa parte, nelle camere degli alberghi europei è facile trovare non più soltanto una copia della Bibbia o del Nuovo Testamento, ma anche un’antologia dei Discorsi del Buddha: dunque un testo cristiano e un testo buddhista posti pacificamente uno di fianco all’altro, o uno sopra l’altro nel cassetto del comodino, per venire incontro alle eventuali inquietudini spirituali di qualche ospite insonne. L’inedita “coabitazione” di questi due libri va innanzitutto intesa come l’effetto di una consapevolezza ormai diffusa: e cioè che in Europa nuovi universi religiosi convivono ormai stabilmente accanto all’antica tradizione cristiana, per cui ci si può anche aspettare che in un albergo capiti un viaggiatore più interessato al Buddha che a Gesù. Ma per il semplice fatto di essere posti assieme, i due testi sacri non invitano solo a una scelta dirimente: prendi uno e lascia perdere l’altro, a seconda della tua identità religiosa di partenza. Suggeriscono infatti indirettamente al nostro ospite notturno di aprire l’uno e l’altro libro; finiscono – che lo vogliano o no – per far supporre che si possa imparare qualcosa un po’ dal primo e un po’ dal secondo; suscitano l’ipotesi che magari i due testi siano intercambiabili, ricomponibili a piacere secondo il proprio gusto personale. Rendono insomma allettante l’idea di migrare, di spostarsi con facilità e piacere da una tradizione all’altra, come se fosse bello essere un po’ buddhisti e un po’ cristiani. In effetti, questo nomadismo spirituale sembra uno dei tratti tipici della religiosità contemporanea. Mi viene da pensarlo mentre osservo il comportamento e ascolto i discorsi di un’amica greca, rinomata studiosa di arte moderna. Entra in una chiesa ortodossa e accende candele, bacia le sacre icone, perché si
sente sempre parte della tradizione religiosa in cui è stata educata. Ma questa fede originaria, che pure in lei permane, non le ha impedito di frequentare, fino a poco tempo fa, anche un gruppo di mistica sufi, guidato però non da un musulmano, bensì da un maestro ebreo che a propria volta, evidentemente, ha giudicato possibile e salutare congiungere gli insegnamenti della Torah con quelli del misticismo islamico. Non basta. Dopo qualche anno passato a eseguire danze sufi, infatti, la mia amica ha sentito il bisogno di arricchire la propria ricerca spirituale spostandosi verso la meditazione indiana: non quella tradizionale, beninteso, bensì la cosiddetta kundalini, come è stata elaborata dal famoso maestro Osho, pure lui un convinto sostenitore di pratiche religiose trasversali, generate dalla “miscela” di tradizioni orientali e occidentali. Il caso della mia amica greca non è affatto isolato e non va trattato con sufficienza. Esso infatti è un emblematico risultato di quel «supermercato delle religioni» che si crea nel momento in cui fedi diverse vengono a convivere l’una accanto all’altra. Occorre innanzitutto ricordare che molte tradizioni religiose intendono presentarsi come portatrici di una Verità unica, assoluta, esclusiva; e di conseguenza vincolante per chi a quella tradizione appartiene. Ma per il solo fatto di trovarsi oggi fianco a fianco con altre tradizioni a loro volta portatrici di Verità assolute, ecco che queste stesse religioni si relativizzano a vicenda... Diventoinvece io a decidere qualke sia la Verità cui aderire. E come faccio a deciderlo? Non sentendomi più vincolato all’appartenenza ad una tradizione, non posso fare altro riferiemnto che alla mia coscienza, al mio vissuto… Ed ecco allora che comincio a migrare, a spostarmi da una religione all’altra, a mettermi in cammino di tradizione in tradizione… In atto ormai da molti anni queste continue migrazioni spirituali, praticate oltretutto da un numero crescente di persone, hanno finito alla lunga per creare un nuovo clima spirituale, un nuovo modo di concepire le credenze religiose…”
Ci possono essere letture diversificate di questo tipo di migrazione i cui sentieri attraversano le religioni, le forme di meditazione, di preghiera, di culto. Si può denunciare come una religione che coglie per lo più somiglianze sia assai debole dal punto di vista teologico e corrisponda ad una fondamentale superficialità e confusione: annullamento di confini e di criteri di orientamento. Tuttavia questo nomadismo si contrappone ad un movimento assai più diffuso, il ripiegamento identitario che utilizza la religione come strumento per una contrapposizione all’altro e per un rifiuto che giungono alla violenza. Proprio questo nomadismo spirituale potrebbe essere colto, in un contesto pregno di tentazioni di violenza e di confronto bellicoso, come una provocazione per attuare una convivenza diversa, per viaggiare in direzioni nuove nella comunicazione. “Con la sua teologia minima basata sulla somiglianza tra le diverse fedi, costringe le singole religioni a interrogarsi con cognizione di causa sul significato di un mondo multireligioso. E a elaborare quindi una approfondita teologia del pluralismo religioso che possa rendere conto sia delle analogie sia delle differenze fra le diverse vie di fede”
Alessandro Cortesi op