6-6-2010 - Corpo e sangue di Cristo – Anno C
Gen 14,18-20; 1Cor 11,23-26; Lc 9,11-17
Omelia
‘Melchisedek re di Salem, offrì pane e vino’
Una figura misteriosa, questo re, il cui nome rinvia alla giustizia che nel linguaggio ebraico si declina come fedeltà. Una figura misteriosa di qualcuno che offre. Offre il pane di cui poco prima il racconto della ‘rottura’ del paradiso aveva parlato nei termini di una maledizione data all’uomo: ‘col sudore del tuo volto mangerai il pane’ (Gen 3,19). Ed offre il vino, quel vino che bevuto con abbondanza aveva provocato l’ubriacatura di Noè. Ma con Melchisedec, questa misteriosa figura, pane e vino vengono ad essere non più segni di male, ma segni di benedizione. E lo divengono nel gesto di essere offerti: ‘offrì pane e vino’. E Melchisedec benedice Abramo, sconosciuto presentatosi a lui: “Sia benedetto Abram dal Dio altissimo creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo”. Quasi a dire che pane e vino racchiudono in se stessi la capacità dell’uomo di compiere la sua più profonda identità. E’ un’identità che si manifesta e fiorisce non quando il pane e vino, simbolo del nutrimento e della capacità dell’uomo di trasformare la natura e di fare del cibo dal grano e dall’uva, sono presi, mangiati, fatti propri. Piuttosto è un’identità che si compie solamente quando pane e vino sono offerti, dati, pane spezzato e vino sparso a favore di… condivisi.
Era un re pagano Meclhisedec. Eppure capace di benedire. Il suo gesto che ha il sapore della ritualità orientale, segna una traccia da inseguire. E’ il pagano che offre e che benedice lo straniero che incontra, che si affaccia davanti alla sua vita. Il pane che offre è pane che genera una benedizione. Agli occhi di Dio il gesto di questo pagano è mirabile, è ‘parola di Dio’.
“Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla”
Una serie di azioni puntuali, prese, alzò, recitò, spezzò… seguiti improvvisamente da una variazione: li dava. Gesù riprende il gesto del re misterioso. Si fa carico delle folle affamate. Non segue il consiglio - pur avveduto - del buon senso, del ragionamento di chi percepisce il limite del farsi carico degli altri: ‘Congeda la folla… qui siamo in una zona deserta’. Gesù sceglie la via del farsi carico e della responsabilità per chi sconosciuto era lì, e poteva rimanere estraneo, straniero, a cui restare indifferenti o divenire volto a cui guardare con compassione: ‘Voi stessi date loro da mangiare’. I cinque pani e i due pesci sono il poco che c’era da mangiare. Li dava ai discepoli perché li distribuissero. Quel poco messo insieme, diviene il luogo di una benedizione. Non è un bene trattenuto, diviene bene distribuito. Sono le mani dei discepoli che portano questa distribuzione, e attraverso le loro mani si fa strda nel cuore la luce dell’irruzione di un mondo nuovo. Un mondo dove si può distribuire, in cui farsi carico della fame dell’altro produce abbondanza e gioia per tutti, in cui scoprire di poter riposare, non isolati e dispersi, ma insieme: ‘fateli sedere a gruppi di cinquanta’. C’è una benedizione che sta dentro al gesto dello spezzare; c’è anche uno stile inconfondibile, quello di Gesù che coinvolge non con le teorie ma associando a sé, consegnando i pani da distribuire, facendo prolungare il suo gesto nei gesti dei discepoli. E’ un distribuire che vince la paura della fame e la paura dell’isolamento, che trasforma estranei e lontani in vicini e amici. Ne sgorga un’abbondanza indicibile: tutti mangiarono a sazietà. Ce n’è per tutti. E’ pane non per un gruppo ristretto, non dominio che porta ad escludere. E’ pane per le folle, per una moltitudine stanca. Scrivendo questa pagina Luca ha nella memoria eventi del Primo Testamento: l’episodio della manna nel deserto (Es 16,8.12; Num 11,21). Anche il gesto di Gesù avviene in un luogo deserto, vicino a Betsaida. E la moltiplicazione dei pani compiuta dal profeta Eliseo per i discepoli (2Re 4,42-44). Eliseo, uomo di Dio, ad un individuo presentatosi offrendogli primizie, disse: ‘Dallo da mangiare alla gente’. All’obiezione ‘come posso mettere questo davanti a cento persone?’ quegli replicò: ‘Dallo da mangiare alla gente. Poiché così dice il Signore: ne mangeranno e ne avanzerà anche’. “Lo pose davanti a quelli, che mangiarono, e ne avanzò, secondo la parola del Signore”.
Gesù apre ad intendere la vita in modo nuovo: nel deserto si incontra Dio e lo si incontra nell’orizzonte del dono. Dono che viene da Lui, dono che diviene criterio dell’esistenza. Condividere il poco può sembrare perdita, si oppone al buon senso e alle paure di rimanere senza niente: è invece luogo di benedizione, apre alla scoperta di una benedizione di Dio, alla sua presenza lì, senza altre precisazioni di tipo religioso.
“Questo è il mio corpo che è per voi: fate questo in memoria di me”
Le parole dell’ultima cena vanno riascoltate nella loro essenzialità e semplicità. Così come Paolo le riportava alla comunità di Corinto. Le ricordava perché fosse possibile fare memoria: fare memoria di quel gesto che diceva tutta la vita di Gesù. La sua vita è pane spezzato: un pezzo di pane dato e condiviso. La sua presenza sarà sempre lì dove un pane è spartito nella semplicità, dove l’accoglienza fa sì che vi sia da mangiare per tutti, là dove non si è importanti per appartenenze gerarchiche o di ruolo ma per la sincerità nel condividere ciò che si è, nell’umiltà dei gesti quotidiani della ospitalità e dell’accoglienza.
“È giunto un pellegrino alla mia porta.
Ho preparato la mensa con il pane e il vino
e l’angolo nascosto per ascoltare musica.
Egli mi ha benedetto nel nome della Trinità
con la casa, l’ovile e i miei cari.
L’allodola ripete nel suo canto:
“Sovente, sovente passa il Cristo
in veste di pellegrino”. (Poesia Gaelica)
Uno spunto da…
"Immaginavo che le mie parole sarebbero giunte alle ragazze italiane, era a loro che volevo arrivare. sentivo sulla mia pelle l’umiliazione di essere accucciata sotto un tavolo. Sentivo nella mia carne il sopruso della telecamera che frugava il nostro corpo. Soltanto attraverso la comprensione profonda, e di conseguenza l’assunzione totale della vergogna e del dolore per come eravamo rappresentate, sarebbe stato possibile scrivere un testo per stimolare domande, per educare e finalmente cambiare." (Lorella Zanardo, Il corpo delle donne, ed. Feltrinelli 2010)
Nel 2007 Lorella Zanardo, dirigendosi a visitare a Milano una mostra sugli anni ’70 con il figlio undicenne incrociò una mostra contemporanea dedicata a vent’anni di ‘Striscia la notizia’. Si scontrò in quella circostanza con l’esaltazione per alcuni modelli creati dalla televisione capaci di influenzare la vita di generazioni di giovani. Da quell’esperienza sorse così un progetto che impegnò a visionare ore e ore di programmi televisivi nelle diverse fasce orarie, scoprendo in quale modo soprattutto il corpo delle donne viene presentato nelle trasmissioni e l’immagine di donna che è sottesa e proposta come modello vincente e da inseguire. Un’immagine del corpo delle donne utilizzato secondo lo slogan: ‘E’ quello che la gente vuole’. Una immagine femminile in cui il corpo è umiliato, asservito, reso solo un oggetto di desiderio sessuale e null’altro. Da spezzoni di trasmissioni con ripresee raccapriccianti in tutte le fasce orarie senza alcun limite e è sorto un documentario messo in rete nel 2009: (http://www.ilcorpodelledonne.net/?page_id=89) .
La considerazione finale del documentario è che nella televisione il volto delle donne stia scomparendo, sostituito da un’immagine di donna, o meglio solamente da una riduzione ad alcune valenze della corporeità. Il corpo delle donne appare così trasformato, esaltato secondo i canoni dell’apparire, della seduzione, della provocazione sessuale e diviene il luogo di un asservimento e in fondo di disprezzo. In questo modo la televisione emargina sempre più la figura di donne che non si lasciano asservire a queste logiche e diviene propagatrice di un autentico condizionamento su modelli di vita femminile.
Modelli di femminilità umiliata ma anche modelli di mascolinità ridotti al loro aspetto di potere e di strumentalizzazione della donna. Lorella Zanardo tenta così di capovolgere il dettame che questo è quello che la gente, uomini e donne si attendono.
Si ricorda che al truccatore che la stava preparando per la scena di un film Anna Magnani si rivolse con queste parole: “Mi raccomando, non mi cancelli le rughe dal volto, ci ho messo una vita a farle crescere”. Espressione di una comprensione del proprio corpo, dei suoi limiti, dei suoi difetti e della sua bellezza, della sua infermità – si pensi al corpo di chi è malato - come frontiera visibile di una persona, di un volto umano che non è riducibile alla sua prestanza fisica. Il corpo nella nudità del volto si presenta all’altro facendo appello al dovere di riconoscere un tu, di scorgere in esso un essere umano, ricco di dignità, esigente rispetto, accoglienza, cura del corpo stesso. Il corpo è confine della vita personale che si apre all’incontro. L’espressione di sentimenti, di emozioni, di idee e di comunicazione spirituale si attua nel corpo ed è veicolata in una corporeità che fa parte, inscindibile, dell’interezza della propria persona.
Nel giorno in cui si riflette sull’eucaristia come corpo donato, luogo di comunione e di incontro, non è male sostare anche per riflettere sui modi in cui incidere ad un cambiamento nel vivere la corporeità nella società in cui viviamo. E farsene responsabili soprattutto per chi è più fragile.
Dalla parola alla vita...
Corpo di Cristo, corpi di uomini e donne assediati e corpi uccisi…
Abbiamo visto in questi giorni corpi di pacifisti cadere sotto i colpi di arma da fuoco sparati a bruciapelo da soldati armati che hanno assaltato una nave di aiuti diretta alla striscia di Gaza.
Pax Christi ha espresso in modo fermo la sua voce di fronte all’assalto della nave Mavi Marmara, una delle navi di Freedom Flotilla con 700 pacifisti, gironalisti e personalità religiose e politiche di varie provenienze internazionali, che stava recando aiuti umanitari alla popolazione di Gaza chiusa in un isolamento e sottoposta ad un embargo con effetti devastanti (www.paxchristi.it):
“Un atto di pirateria e di terrorismo internazionale. Un crimine che stavolta risulta impossibile nascondere nell'abituale impunità a cui Israele ci ha tristemente abituati. Già in queste prime ore il mondo si accorge non di un crimine, ma di una storia di crimini ripetuti e giustificati che squarcia il silenzio dei media sull'assedio di Gaza ed ora sul massacro di internazionali che questo assedio volevano semplicemente ricordare al mondo.”
“Vogliamo soprattutto sentir riportare dai nostri media la realtà di un crimine che nessun Paese vorrebbe riconoscere come sua responsabilità. Diecimila tonnellate di aiuti per un milione e mezzo di persone che vivono da anni sotto embargo totale, dopo aver subito e ancora non curato l'orrore e le ferite inferti da operazione Piombo fuso, un anno e mezzo fa. Mentre gli abitanti di Gaza si preparavano ad accogliere gli internazionali in festa, all'alba di oggi i militari israeliani assaltavano tutte le imbarcazioni del convoglio, a 75 miglia dalla costa israeliana, in acque internazionali, uccidendo e ferendo decine di persone nella nave turca 'Mavi Marmara'. (…) non ci lasceremo offendere da chi è pronto a stravolgere la verità del massacro parlando di "scontri", mentre assistiamo da anni al colpevole boicottaggio all'esistenza di un intero popolo. Non taceremo insieme a chi spera che il mondo non si accorga della punizione collettiva di cui è responsabile Israele e anche i nostri Paesi. Quale commentatore si chiederà perchè Israele si può permettere ogni violazione del diritto internazionale, anche la pirateria, anche la licenza di uccidere. C'è chi tace e acconsente: gli Usa, l'Europa e gli Stati arabi. Chi permette soprusi e ingiustizie, e li tace, e li giustifica, è ancora più responsabile e colpevole di chi le ingiustizie e le violenze commette” (Pax Christi Italia 31 maggio 2010).
Alessandro Cortesi op