15-8-10 - Assunzione di Maria - Anno C
Ap 11,19-; 12,1-6.10; 1Cor 15,20-26; Lc 1,39-56
Omelia
“Ma Cristo è veramente risuscitato dai morti, primizia di risurrezione per quelli che sono morti. Infatti per mezzo di un uomo è venuta la morte, e per mezzo di un uomo è venuta la risurrezione. Come tutti gli uomini muoiono per la loro unione con Adamo, così tutti risusciteranno per la loro unione a Cristo”
Nella prima lettera ai Corinzi al cap. 15 Paolo richiama il ‘vangelo’ che aveva comunicato alla comunità e da lui stesso ricevuto: una consegna che risale alle prime testimonianze della risurrezione. E’ l’annuncio essenziale che racchiude l’intera fede cristiana: “Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti”. Il Cristo risorto è il medesimo Gesù che ha vissuto la passione ed è morto sulla croce. La fede cristiana si radica nell’incontro con Gesù uomo, profeta di Galilea che ha vissuto la sua vicenda della storia, e nasce il mattino di Pasqua quando la testimonianza delle donne apre ad un orizzonte nuovo che va al di là della storia: credere in Gesù Cristo è aprirsi a vederlo in modo nuovo nel suo farsi incontro a noi, come il Vivente che ha vinto la morte e su questo incontro trovare il senso della propria vita e della storia. L’evento della risurrezione è inscindibilmente legato alla morte, e di qui a tutta la vita di Gesù, al suo progetto testimoniato fino alla fine.
La risurrezione investe la corporeità ma non si riduce ad un ritorno alla vita di prima.
Non solo, ma la risurrezione di Cristo si collega alla risurrezione di ogni donna e uomo che provengono da Adamo. Paolo vede tutti gli uomini legati ad Adamo perché tutti muoiono e partecipano di quella condizione di povertà e di debolezza propria di Adamo, tratto dalla terra (Gen 2,4). Ma Paolo accosta ad Adamo il Cristo e lo vede come ultimo Adamo: Cristo è compimento e realizzazione piena di quel disegno di Dio presente sin dall’origine quando nella creazione di Adamo volle costituire una immagine di se stesso. ‘Facciamo l’uomo a nostra immagine somigliante’ (Gen 1,26) sono le parole che esprimono il progetto di Dio sull’uomo e sulla donna. Adamo è quell’immagine chiamata a compiere una somiglianza, a divenire simile a Dio stesso, il Dio comunione che parla al plurale: ‘facciamo…’. Se da un lato noi siamo tutti simili ad Adamo, perché tratti dalla terra, fragili, esposti alla morte, l’ultimo Adamo, dove risplende la somiglianza più alta a Dio, è Gesù. Noi ora possiamo accogliere la somiglianza di Gesù:
“Il primo uomo, Adamo è stato tratto dalla polvere della terra, il secondo, Cristo viene dal cielo. Finchè siamo su questa terra, siamo simili ad Adamo, fatto con la terra. Quando invece apparterremo al cielo, saremo simili a Cristo, che viene dal cielo. Come siamo simili all’uomo tratto dalla terra, così allora saremo simili a colui che è venuto dal cielo” (1Cor 15,47-49)
Maria è donna che partecipa all’esistenza del Risorto, al cielo: vive nella condizione dei risorti, partecipe dell’umanità che ha in Adamo la sua origine e nello stesso tempo è già presa, assunta nella vita della risurrezione, segno di consolazione e di speranza per tutti. Cristo è come la primizia nella primavera della storia, inizio di un grande raccolto e la sua risurrezione coinvolgerà tutta l’umanità: “come tutti gli uomini muoiono per la loro unione con Adamo, così tutti risusciteranno per la loro unione a Cristo. Ma ciascuno nel suo ordine. Prima Cristo che è la primizia, poi, quando Cristo tornerà, quelli che gli appartengono” (1Cor 15,23). Maria è, accanto a Cristo, primizia della nostra risurrezione.
L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore
Maria, per grazia di Dio e con la generosa risposta del suo affidamento, ha saputo leggere la presenza dell’azione di Dio nella sua storia, nel suo presente. Ha saputo cogliere la storia di Dio nel tessuto della vicenda del popolo a cui apparteneva e ha risposto credendo alle chiamate di Dio nella sua vita. La sua esperienza ci dice che la vita nella condizione dei risorti inizia nell’ascolto che ci fa seguire la Parola di Dio ogni giorno nella vita. Tutta la sua esperienza è segnata da due dimensioni: la grazia che sperimenta come sguardo dell’amore di Dio per lei, e il servizio come risposta di donna coraggiosa e forte preoccupata di vviere l’atteggiamento dei poveri di Jahwè e di guardare con occhio rinnovato la storia mettendosi dalla parte di chi è debole. Maria si è lasciata toccare dallo sguardo di amore di dio per lei: “Ha guardato l’umiltà della sua serva” e ha vissuto la sua vita nella logica della risurrezione: “si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa in una città di Giuda”. In questo ‘alzarsi’ è racchiuso il senso profondo della sua vita’ ed è un alzarsi che la reca a rendersi disponibile nel servizio presso Elisabetta, la conduce a guardare il bisogno dell’altro, la porta a mettersi in cammino, per incontrare e per scoprire nell’incontro la benedizione di Dio e la potenza dello Spirito. E’ una indicazione di come poter sperimentare sin d’ora come vivere nell’orizzonte della risurrezione, che è abbraccio del Padre, incontro con Cristo e vita nello Spirito.
Uno spunto da…
Fu un addormentarmi
- negli ultimi tempi
mi trovavo spesso
nel sonno
stanca
appoggiata alla panca;
fu come un desiderio
forte e dolce
che ti porta
fuori di te.
Fu un salire
d’anima, un ritornare
estremo della prima
promessa:
fiat; anche ora
in questo trapasso di morte
e gioia;
cos’è il morir mio
davanti al tuo
folle
e gridato –
eccomi, in cima
ai giorni miei
sulla soglia dei Tuoi.
(G. Mazzanti, Il canto della madre, Ed. Dehoniane Bologna 2007 (3 rist.)
Giorgio Mazzanti è prete, teologo e poeta. Esprime la fede piegando le parole, trattenendole a significare l’inesprimibile racchiuso nel cuore di un’esperienza che è incontro di vita. Fede si incrocia con le ricerche e le domande umane, ed è anche rischio, lotta, come sul guado dello Iabbok per Giacobbe. Maria è colta in questo ‘canto’ come donna di fede, di una fede che vede il primato di un Amore che sconvolge, che dilaga, e nel contempo è attesa, silenzio e sorpresa di fronte alla libera risposta umana. Nel parlare di Maria al centro emerge così la presenza amante di Dio ed il rapporto umanissimo di lei con il ‘suo’ Gesù. Una intimità che pure si compone paradossalmente con una distanza, è comunione che non assorbe né esaurisce, ma apre spazi, lascia aperto al non trattenibile e al non dicibile. E’ fiat: si compia in me la parola che già è evento. E scopre così la dimensione della soglia: tutti i suoi gesti tra un umano visitato e la infinita altezza, la gloria, del divino che pur si è fatto vicino. Tutta la vita di Maria è racchiusa nello sguardo alla soglia sulla quale Gesù le comunica il suo andare, e più ancora quando la cima dei suoi giorni giungono alla soglia dei suoi, ad incontrare i giorni di Lui. E’ una soglia che ha il suo vertice sulla croce. E’ quello il momento in cui tutto appare in una luce nuova. E’ una soglia di incontro e di partecipazione di vita, a quella vita che sgorga appunto da Gesù sull’albero della croce, e si manifesta nelle parole: ‘Donna ecco tuo figlio’: “
“ma non fu solo
strappo
né abbandono:
più intimo
ancora
volevi
popolare
la mia solitudine
di figli che tu
generasti
morendo
facendomi
ancor più madre”
Dalla Parola alla vita
“vestiamo abiti afghani. Rispettiamo i loro costumi: se usciamo portiamo sempre il velo. Ci muoviamo con tanta semplicità. Cerchiamo di non far capire chi siamo”. (F. Grignetti, Io, suora in sgreto nell’inferno di Kabul, “La Stampa 8 agosto 2010)
“La stampa” di domenica 8 agosto, a fianco della notizia dell’uccisione di un gruppo di medici di una ONG che dal 1966 offre assistenza medica soprattutto nel campo oculistico alla popolazione afghana, pubblica un’intervista ad un minuscolo gruppo di suore, quattro, che vivono a Kabul nonsotante la situazione di difficoltà e di rischio. La loro vita di maestre che curano bambini con difficoltà di apprendimento nel tentativo di reinserirli nel circuito scolastico, è descritta semplicemente. Alla domanda sul modo di esprimere la loro fede rispondono: “anche quando preghiamo con i bambini, non dobbiamo farci scoprire… - “scusi, ma allora pregate…” – “Una preghiera afghana che vale per tutti. Diciamo in dari: ‘Grazie Signore per il cibo che ci hai dato’ e basta. Poi, a casa, in una stanza abbiamo allestito una piccola cappella. Ma nessuno deve saperlo”. Così descrivono la loro situazione nei rapporti con la gente: “La gente ci stima. E finché il Signore ci vuole qui, restiamo. Ma non so fino a quando…”. E alla domanda se hanno paura la risposta è lapidaria: “Se ci vogliono uccidere, ci ammazzano pure domani. Siamo sempre sotto tiro. Speriamo in bene”.
Nella semplicità disarmante di queste risposte ritroverei il senso di una presenza che si fa concreto gesto di compagnia accanto a chi soffre, senza considerazione di possibili esiti e gratificazioni. Una missione intesa come segno di un seme gettato e che trae la sua speranza di portar frutto dalla potenza del Risorto. Una presenza di servizio e di missione nel portare con la propria vita una fede che va oltre questa storia eppure è drammaticamente inserita nelle ferite di questo mondo. Quattro donne anonime ci ricordano la testimonianza di Maria, donna del suo popolo, donna del servizio, coraggiosa testimone della spiritualità non delle gerarchie del tempio che gestiscono le diplomazie e gli equilibri del realismo politico, ma dei semplici che rischiano la loro vita nella generosità di un cammino come offerta di grazia e di servizio. Quattro donne anonime che nel quotidiano testimoniano la disponibilità del servizio gratuito e la scelta per una presenza povera e disarmata, accanto a tante altre, spesso nascoste e lontane dalle esposizioni mediatiche, ci ricordano la forza rivoluzionaria del Magnificat: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili”.
Alessandro Cortesi op