> CHI SIAMO

I Laici domenicani di Palermo costituiscono una Fraternita laica (di San Domenico; abbreviato: F.L.S.D.). Sono l'ex "Terz'Ordine", espressione e articolazione del più ampio Laicato domenicano, quale condizione del fedele cattolico impegnato a vivere, nel mondo (ossia non da ministro ordinato o soggetto di vita consacrata), il carisma di san Domenico di Caleruega - Spagna - (1170-1221; nell'immagine sopra, a sinistra, mentre adora la Croce - Beato Angelico, particolare, Firenze, museo di San Marco): preghiera, studio e predicazione.

La Fraternita palermitana si riunisce di norma due volte al mese (il 1° e il 3° Lunedì alle ore 21) presso il convento dei Padri domenicani, sito in via Bambinai n. 18 - c.a.p. 90133 - (dalla via Roma, zona Poste centrali; dal lungomare, rione San Pietro).

Scopo delle adunate è l'incontro fraterno unito alla preghiera e alla meditazione della Parola di Dio, in funzione della predicazione: sia dei singoli sia del gruppo. Si punta così a formare dei laici adulti, capaci di permeare le realtà secolari con lo spirito cristiano (cf. , nel Concilio ecumenico Vaticano II, Lumen gentium, n. 31) secondo l'ideale domenicano.

Una sottolineatura è data anche alle tematiche attuali di Giustizia e Pace (cf. Costituzione fondamentale del laicato domenicano, n. 6), nella memoria operativa dei tanti che - nell'Ordine domenicano - si sono battuti per un mondo migliore, in cui la tranquillità universale (pace) non sia frutto di armistizi o silenzio delle armi, ma piuttosto del "dare continuamente a ciascuno il suo" diritto (giustizia).
D'altro canto chi ama veramente Cristo è chiamato a servirlo nei fratelli (cf. Matteo 25).

> L'IDENTITA' E LA STORIA

Il Laicato domenicano nasce in stretto collegamento con l'Ordine dei Predicatori (approvato da papa Onorio II nel 1217). Infatti, già agli albori della sua attività apostolica, a san Domenico (+ 1221) si uniscono dei laici (ossia delle persone che non sono nè chierici nè frati), che, come "famuli" o "donati", adempiono delle funzioni materiali, cioè di supporto a quelle dei frati. Così, un po' dappertutto, accanto ai conventi sorgono delle confraternite, rette da statuti peculiari e costituenti delle vere e proprie scuole di fede, preghiera e vita cristiana secondo lo spirito del fondatore. S'impone, dunque, la necessità di dare a tutte queste confraternite una regola generale. Ciò accade nel 1285 con il Maestro generale Munio di Zamora, che promulga la "Regola dei fratelli e delle sorelle dell'Ordine della Penitenza di S. Domenico, fondatore e padre dei Frati Predicatori". Esordisce, in questo modo e formalmente, il Laicato domenicano, che più tardi (secolo XV) assumerà il nome di "Terz'Ordine", a significare, appunto, la sua presenza dopo i Frati e le Monache. Secondo la Regola zamorana il candidato, "come figlio prediletto di S. Domenico nel Signore", dovrà essere "emulatore e ardente zelatore, secondo il proprio stato, della Verità della fede cattolica" (cf. Regola citata, n. 1). I laici domenicani, quindi, operano fin dall'inizio al servizio della Verità, che contemplano e annunciano agli altri (il loro scopo è "contemplari et contemplata aliis tradere", per dirla con san Tommaso d'Aquino). Contemplano, cioè, il Vangelo di Cristo con la preghiera e lo studio, e, senza estraniarsi completamente dal mondo (da "single" o sposati e nelle più varie occupazioni lavorative), si santificano e santificano il mondo, informandosi al carisma di Domenico (cf. Costituzione fondamentale, n. 2) e seguendo l'esempio di Caterina da Siena, patrona dei laici domenicani (cf. Costituzione cit. , n. 5). In quanto titolari di questo gravoso, ma suggestivo mandato, i laici di Domenico sono parte, a pieno titolo, della più ampia "Famiglia domenicana" (felice denominazione che, per decisione del Capitolo generale di Madonna dell'Arco (NA) - 1974 -, sostituisce quelle obsolete di "Primo, Secondo e Terzo Ordine").

> LA SPIRITUALITA'

L'attività dei laici di san Domenico è particolarmente importante per la Chiesa. Infatti, dopo il Concilio ecumenico Vaticano II (1962-65), il laicato, come condizione di qualsiasi battezzato (che non sia ordinato nè religioso), viene riscoperto per la sua essenziale funzione di ordinazione a Dio delle realtà temporali (cf. la menzionata Lumen gentium, n. 31). I laici domenicani, tuttavia, hanno una tensione tutta speciale, sia per la loro vita spirituale (individuale e comunitaria), sia per il servizio a Dio e al prossimo, che, come detto, si sostanzia nella competente e coerente testimonianza della Verità di Cristo. Per il laico di Domenico, insomma, la più alta forma di carità consiste proprio nel "portare l'altro dalle tenebre dell'ignoranza alla luce della conoscenza" (Tommaso d'Aquino). A questo fine, i laici si incontrano periodicamente nella sede della Fraternita per esercitare un sano e caldo amore fraterno, ma anche per formarsi in dottrina (con l'esame della Scrittura e del Magistero ecclesiale), per pregare nonchè per organizzare la predicazione e le altre azioni caritative proprie dello spirito di Domenico (cf. nuovo Direttorio nazionale, nn. 18 e 24). Insieme costituiscono un'associazione di fedeli (Fraternita), "i cui membri conducono una vita apostolica e tendono alla perfezione cristiana partecipando nel mondo al carisma" domenicano, "sotto l'alta direzione" dell'Ordine (cf. Codice di Diritto canonico, can. 303).

> I MAGGIORI LAICI DOMENICANI

Foltissima è la schiera dei laici domenicani, che hanno fatto la storia della Chiesa e della Società civile. I più noti sono certamente la nominata Caterina (+ 1380), patrona dei laici predicatori, dottore della Chiesa ed ispiratrice del ritorno del Papa a Roma dalla "cattività avignonese"; santa Rosa da Lima (+1617), patrona dell'America latina; i beati Pier Giorgio Frassati (+1925) e Bartolo Longo (+ 1926), istitutore del santuario mariano di Pompei; Giovanni Acquaderni (+ 1922), fondatore dell'Azione cattolica italiana; Titina De Filippo (+ 1963), attrice; Giorgio La Pira (+1977), politico; Aldo Moro (+ 1978), statista; i futuri papi Benedetto XV (+ 1922) e Pio XII (+ 1958); don Luigi Sturzo (+ 1950), creatore del Partito popolare; nonchè don Giacomo Alberione (+ 1971), fondatore della Famiglia paolina.
Su La Pira e Sturzo sono stati recentemente aperti, a Firenze e a Roma, processi diocesani super virtutibus.
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Benedetto XVI RINUNCIA al mandato petrino

Benedetto XVI RINUNCIA al mandato petrino
Permanere "usque ad mortem" sul Soglio pontificio può essere una sorta di martirio (come dimostra la recente testimonianza di Giovanni Paolo II). Tuttavia, secondo il tradizionale insegnamento della Chiesa, non tutti sono chiamati al martirio e dunque non si può censurare (del resto non lo fa nemmeno la legge canonica, che prevede e disciplina la rinuncia al mandato petrino !) il Papa che, responsabilmente e coscientemente davanti a Dio (come ha dichiarato Benedetto XVI), si dimette.
VIVA BENEDETTO XVI, Papa dotto, mite e capace di atti importantissimi (tra cui l'aver dato norme severe contro la pedofilia e il riciclaggio del denaro, in cui era coinvolto lo IOR).
Ma VIVA SOPRATTUTTO LA CHIESA CATTOLICA, nella quale PERMANENTE non è la figura dell'uomo, persino il santo, che rimane ministro (ossia servitore), ma di GESU' CRISTO NOSTRO SIGNORE, che l'ha fondata e la continua a governare fino alla fine dei tempi.
Perchè SU DI ESSA, come promesso dallo stesso Signore, LE PORTE DEGLI INFERI "NON PRAEVALEBUNT" !
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Sulla manovra economica, DALLA PARTE DEGLI ULTIMI

La manovra economica in discussione alla Camera colpisce, non per la prima volta, le famiglie e le persone più deboli.

In un contesto economico-sociale assai critico - in cui la famiglia è obbiettivamente alla base del welfare italiano, tamponando le insufficienze delle istituzioni pubbliche, centrali e locali, circa i giovani disoccupati, gli anziani e gli ammalati - ci indignano i tagli lineari delle agevolazioni fiscali, seppur per il 2013-2014, riguardanti persino i figli a carico e le spese sanitarie. Ma anche la stabilizzazione, per l’immediato, degli aumenti provvisori delle accise sui carburanti, che porta complessivamente le tasse sul carburante al livello più alto dal 1995, è una ver’e propria stangata per consumatori e imprese.

Ci appare, peraltro, paradossale che chi ha chiesto ed ottenuto il consenso elettorale promettendo « meno tasse per tutti » oggi non riesca a calibrare diversamente questa manovra, pur indispensabile per la tenuta dei conti italiani secondo i parametri dell’Unione europea.

Se, quindi, come ha dichiarato in queste ore lo stesso Ministro dell’economia, « la salvezza arriva dalla politica » e « la politica non può fare errori », auspichiamo una modifica sostanziale, se non sui numeri, sui primi destinatari della manovra stessa, che rischia di impoverire ulteriormente il c.d. ceto medio, dando l’impressione di risparmiare i ricchi di un Paese, in cui il 10% delle famiglie possiede il 44% della ricchezza nazionale.

Pertanto, si attivino specialmente quanti in Parlamento si dicono credenti, ricordando che per « l'oppressione dei miseri e il gemito dei poveri, io sorgerò - dice il Signore - » e « metterò in salvo chi è disprezzato » (Salmo 11, 6).

Commissione Nazionale della Famiglia Domenicana Giustizia Pace e Creato

Roma, 15-7-2011

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X GIORNATA per l'IMPEGNO e la SOLIDARIETA'

La Commissione nazionale di Giustizia, Pace e Creato della Famiglia domenicana ha organizzato, a Bergamo, il 27 Novembre 2010, la X Giornata per l'impegno e la solidarietà, sul tema Per un'economia centrata sulla vita. Morti bianche, conti in rosso. I colori della crisi economica nel mondo del lavoro.

Qui il programma ed altri materiali su temi attuali di Giustizia e Pace:


A questo link, invece, qualche foto dell'evento:


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APPELLO al Papa per Padre Pino PUGLISI MARTIRE

Clicca qui sotto per firmare, eventualmente indicando una motivazione e l'associazione di appartenenza:

http://diamounsegno.wordpress.com/2010/09/25/don_pino_puglisi_martire/comment-page-1/#comments
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A Palermo dalla parte di lavavetri e senzatetto

E' appena entrata in vigore un'ordinanza del Sindaco di Palermo che prevede un'aspra sanzione pecuniaria, tra l'altro, nei confronti dei lavavetri ai semafori delle strade e di persone senza fissa dimora sorprese a bivaccare (sic). Il provvedimento ritiene che le loro attività creino problemi di ordine pubblico: l'intento è dunque quello - ha dichiarato il Sindaco - di "migliorare la qualità della vita dei cittadini", rispondendo "anche ad un sentire comune".

Tuttavia è paradossale che, in una città in cui la violazione delle regole è all'ordine del giorno, si chiamino a rispondere di comportamenti illeciti i poveri, quali sono le persone umane che chiedono qualche centesimo agli incroci o, in mancanza di un'abitazione, si sistemano a dormire tra improvvisati cartoni e coperte. In un momento in cui, secondo i dati Istat, la disoccupazione dilaga e si allargano le aree di povertà nella città, questa misura è davvero sorprendente, anche perchè rischia di consegnare uomini e donne che vivono di espedienti alla commissione di veri e propri reati, se non alla mercè della criminalità organizzata.

La decisione, in ogni caso, non risponde affatto al nostro sentire di cittadini e di cristiani, che anzi affermano con forza come una vita migliore per Palermo sarebbe, non già quella in cui gli indigenti siano resi invisibili, togliendo dagli occhi di chiunque lo scandalo della miseria, bensì quella intessuta di attenzione, da parte di ciascuno, ai bisogni degli ultimi, in nome di una reale solidarietà e giustizia.


Palermo, 24 Settembre 2010 (pubblicato su La Sicilia - Palermo del 5-10-2010, p. 33)



Fra' Graziano Bruno o.f.m., Giustizia Pace Integrità del creato - Sicilia

Fra' Giovanni Calcara o.p., Commissione nazionale di Giustizia e Pace della Famiglia domenicana

Francesco Lo Cascio, Movimento Internazionale per la Riconciliazione

Salvatore Scaglia, Commissione nazionale di Giustizia e Pace della Famiglia domenicana

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Il Papa a Palermo e le polemiche

In questi giorni abbondano le polemiche circa le spese relative alla visita di Benedetto XVI a Palermo, prevista per i primi di Ottobre.
Polemiche - al di là del loro fondamento - sovente strumentali perchè agitate, per fastidio preconcetto, contro la Chiesa cattolica. Ma, rispetto alle quali, persino qualche autorevole replica non è stata del tutto felice, avendo fatto un riferimento - generale - a cene di magistrati sotto scorta, in una città che ha visto letteralmente dilaniati diversi operatori di giustizia con le loro tutele e in cui diversi continuano a rischiare davvero le loro vite.
In questo contesto di sterili contrapposizioni, io scelgo una parte sicura: quella del Vangelo: ‎"Rispose Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". E Gesù: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa" " (Matteo 16, 16-18).
E' dunque la fede ("nè la carne nè il sangue") a far credere in Cristo-Salvatore e dunque nella Chiesa, ossia l'assemblea dei fedeli, da Lui fondata.
Ma sto anche con la Costituzione. Dovrebbe essere quindi espressione di autentica laicità (intesa come pluralismo confessionale e culturale, per dirla con le sentenze della Corte costituzionale), visto che questa terra è di tutti, consentire ai molti credenti - che accorreranno a Palermo non solo dalla provincia - di ascoltare le parole del Successore di Pietro.
Il quale peraltro, quando parla dell'uomo, che dovrebbe stare a cuore a tutti quanti, si rivolge a tutti gli uomini di buona volontà: credenti o non; che ascoltino o non ascoltino.

Salvatore Scaglia
Presidente dei Laici domenicani di Palermo

13 Settembre 2010 (pubblicato su Avvenire del 16-9-2010, p. 33)
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Sulla promozione INTEGRALE della persona umana

Le recentissime posizioni con cui i neo Presidenti del Piemonte e del Veneto, Cota e Zaia, intendono contrastare l'aborto, se in sè e per sè sono buone, stridono nettamente con il trattamento che gli stessi, assieme ad esponenti non solo della Lega Nord, riservano agli immigrati irregolari. Spesso questi - se li si incontra personalmente - sono poveri in fuga da guerre civili o da gravi disordini sociali; disperati che meritano accoglienza e non criminalizzazione. Come si può dunque attribuire dignità di vita umana - giustamente - all'embrione ed essere, nel contempo, draconiani, ormai anche mediante norme giuridiche, nei confronti di queste persone ?
"Ero forestiero e mi avete ospitato", recita il Vangelo di Matteo (25, 35). Ma anche l'Antico testamento è nutrito di passi come: "non maltratterai lo straniero e non lo opprimerai, perchè anche voi foste stranieri nel paese d'Egitto" (Esodo 22, 21). Peraltro moltissimi italiani sono stati, e sono tuttora, emigranti. O si è cristiani sempre, quindi, o non lo si è mai, a meno di realizzare mere strumentalizzazioni politiche, che nulla hanno a che spartire con la vera Legge di Cristo.

2 Aprile 2010 - Passione del Signore

- Fra' Graziano Bruno o.f.m., Moderatore di Giustizia e Pace dei Frati minori per la Sicilia
- Francesco Lo Cascio, Movimento Internazionale per la Riconciliazione - Sicilia
- Salvatore Scaglia, Commissione nazionale domenicana di Giustizia e Pace
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NESSUNO, se non Dio Padre, CONOSCE il tempo del RITORNO DI CRISTO !

Si fanno sempre più consistenti, sui vari mezzi di comunicazione sociale, dicerie circa un imminente ritorno di Gesù. Ne può così derivare paura, rassegnazione, pessimismo cosmico, deresponsabilizzazione personale o consumazione edonistica dell'esistenza.
Tuttavia il VANGELO odierno (Domenica 15 Novembre 2009) fa piazza pulita dei FALSI PROFETI, che, ieri come oggi, pretendono di conoscere il momento della SECONDA VENUTA DI CRISTO (c.d. parusìa): "Gesù disse ai suoi discepoli: « In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. [...] Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre » " (Marco 13, 24-32, passim).

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IX GIORNATA per l'IMPEGNO e la SOLIDARIETA'

La Commissione nazionale di Giustizia, Pace e Creato della Famiglia domenicana organizza, a Bari, dal 27 al 29 Novembre 2009, la IX Giornata per l'impegno e la solidarietà, sul tema Legalità.

Qui il programma ed altri materiali su temi attuali di Giustizia e Pace: http://www.giustiziaepace.org/ .
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PREDICAZIONE. 12-9-10. Commento alla Sacra Scrittura

XXIV Domenica del tempo ordinario - Anno C - 2010

Es 32,7-11.13-14; 1Tim 1,12-17; Lc 15,1-32

Omelia

“Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: ‘Perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con grande forza e mano potente? Ricordati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: ‘renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo’(…) Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo”

Il popolo d’Israele è nel deserto,ha vissuto l’uscita dall’Egitto ma nel deserto rapidamente dimentica la via di liberazione che sta percorrendo: ‘si sono fatti un vitello di metallo fuso’. La scelta di un dio potente, il ‘dio toro’ da adorare, da poter guardare come proiezione dei propri desideri di potenza, è sempre alle porte. A lui offrono sacrifici, a lui dicono ‘Ecco il tuo dio, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto’. Sta qui la grande idolatria: dimenticare il Dio che ascolta e scende, che guida come nube e come fuoco, inafferrabile, non racchiudibile e non manipolabile e pur sempre il Dio vicinissimo e premuroso. Il vitello d'oro è anche simbolo evocativo di ogni esperienza che rassicura le attese di poter essere padroni della propria vita, è l’idolo a cui ci si piega per fuggire alla sfida di intendere la propria vita come relazione. E’ la scorciatoia per evitare la fatica di stare davanti a Dio e agli altri nella ricerca di scegliere e di rispondere; è anche la comprensione della religione come meccanismo sacrale in cui si diviene ingranaggi di un destino che esime dalla responsabilità di fronte all’Altro e dal farsi carico degli altri.

Qui si manifesta il popolo di dura cervice, incapace di aprirsi ad un volto di Dio liberatore, che chiama ad un faticoso cammino di libertà. E contro questa idolatria sgorga l’ira di Dio: “Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro”. Nella forza evocativa di questo dialogo tra Dio stesso e Mosè si offre uno squarcio sul sentimento di Dio, ma anche sul suo vero volto che è quello di un Dio che si pente, che cambia: “Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo”. L’onnipotenza di Dio trova qui una critica radicale: va compresa non secondo le logiche della violenza e del potere propri di tanti percorsi umani, è invece una onnipotenza debole, è il lasciarsi cambiare dall’amore, è la forza della fedeltà, si esprime nel ricordo di un rapporto che lega ai volti, alle storie umane ed alla sua promessa. Mosè esprime così la voce che ci aiuta ad entrare nel cuore di Dio: gli ricorda ‘tu hai fatto uscire dalla terra d’Egitto’. A Dio sta a cuore la liberazione, e il suo manifestarsi al popolo d’Israele è finalizzato a questo cammino, a questa apertura della vita. Non solo: Mosè chiede a Dio di ricordare: ‘Ricordati di Abramo, di Isacco, di Israele…’ E’ un ricordo che rinvia ad un legame, all’alleanza fatta di volti, di coinvolgimento nella storia di un popolo, ad una promessa fatta e che non potrà venir meno. Il volto di Dio appare così come un volto inedito e nuovo: un Dio preoccupato dell’umano, un Dio da incontrare in una storia di liberazione, un Dio che non viene meno alla sua promessa e all’alleanza, un Dio dei volti per cui ognuno è prezioso e non deve essere perduto. Per questo ‘Dio si pentì’: di fronte a tante elucubrazioni sull’immutabilità di Dio questo dialogo di Mosè che parla con Dio faccia a faccia ci riporta alla forza della Parola in cui traspare un Dio che non può essere racchiuso (o strumentalizzato) nelle nostre mani, è tutt’altro rispetto al vitello d’oro da adorare, non segue i nostri pensieri. E nello stesso tempo è il Dio che si è legato a questa umanità, che vive con passione e premura, anche con ira pronta a spegnersi di fronte al ricordo della sua promessa, cammino faticoso ed esigente di un passaggio che conduce a scoprire il suo volto.

Proprio questo rapporto esige che il popolo mantenga un cuore di deserto, come chi sa di essere debole e povero, di aver bisogno. E’ questo il cuore di chi si affida e reca in sé la memoria del passaggio della liberazione in cui si sono cantate le meraviglie di Dio in contrapposizione alla potenza dei carri e cavalieri, ultrmo ritrovato della tecnica bellica dell'impero egiziano.

La possibilità di vita per un popolo credente sta tutta qui, nel saper riconoscere la radicale dipendenza e nello scegliere le proprie vie in coerenza con questo stile incredibile e paradossale di Jahwè che sceglie il povero e lo libera per farne un figlio, da accogliere nella gioia della festa

Un’ultima osservazione: il profeta, Mosè, è presentato come colui che nel tempo dell'idolatria, non fugge, non si ritaglia un percorso solitario e privilegiato, ma si fa solidale e intercede per gli altri. E’ questa l'attitudine del profeta: ricordare davanti a Dio le sue promesse, intercedere, richiamare al cuore di deserto, vivere fino in fondo la solidarietà che Dio gli ha chiesto.

“Si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: ‘Costui accoglie i peccatori e mangia con loro’. Ed egli disse loro questa parabola…”

L’inizio del capitolo 15 di Luca presenta tre parabole che compongono di fatto una sola e unica parabola annunciata: colui che va in cerca della pecora perduta, la donna che cerca la moneta perduta e il padre che attende e va incontro ai figli perduti. In tutte c’è una perdita, una ricerca, infine un ritrovamento come accoglienza che rinvia a quanto Gesù esprime con il suo comportamento: ’accoglie i peccatori e mangia con loro’. E’ questo che suscita la reazione di scribi e farisei

Tutto si svolge infatti nel contesto della mormorazione: i farisei e gli scribi ‘mormoravano’: è il medesimo atteggiamento del popolo d’Israele nel deserto (Es 16,2-3.7.12; Num 16,11), è il lamento disincantato e scettico di chi non vede l’esito atteso di una liberazione pensata in modo diverso, e giunge ad avere nostalgia della schiavitù d’Egitto. Il mormorare è espressione di un cuore sospettoso e indisponibile che pretende un Dio a misura dei propri progetti, e non è disposto a lasciarsi cambiare.

In contrasto vi sono altri che vengono a Gesù e ‘si avvicinavano per ascoltarlo’. L’ascolto è la caratteristica del discepolo e Gesù accetta la vicinanza di questi: sono i pubblicani e i peccatori, gli irregolari dal punto di vista religioso. In tale contesto le parabole acquistano un significato particolare. Parlano della ricerca di qualcosa che è stato perduto, la pecora, oppure la piccola moneta da parte della donna. Per chi si pone alla ricerca quella pecora o quella moneta, l’unica piccola cosa perduta vale più di tutto il resto. E’ un modo per parlare di Dio: un padre dal volto materno, un Dio umanissimo che si spende alla ricerca dell’uomo, che si china e insegue chi è perduto per fargli vivere una vita buona.

“Si perde la pecora, si perde la dramma, si perde il figlio minore. Ma anche Dio è uno che si perde: si perde dietro anche uno solo! E questo è stupefacente lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di una. E' un Dio che perde la testa per uno solo” (don Angelo Casati)

La parabola più lunga è costituita di tre grandi atti: nella prima scena la richiesta del figlio minore di essere autonomo e di andarsene dalla casa del padre. C’è il desiderio di autonomia e di indipendenza, ma questo allontanarsi sfocia in un fallimento fino alla decisione di ‘ritornare’: le ragioni di questo ritorno sono tuttavia ancora la ricerca di sicurezze e di garanzie, il poter trovare da mangiare almeno come i salariati nella casa del padre. Il giovane si attende ancora quella che può esser definita la soluzione del buon senso: ‘trattami d’ora in poi come uno dei tuoi garzoni’.

La seconda scena vede al centro la figura del padre: il figlio che torna è atteso e viene anticipato nel suo desiderio di presentarsi a lui chiedendo di poter ritornare. Lo sguardo del Padre mira all’orizzonte, attende da lontano. Non lascia spazio alle parole ma le supera con un abbraccio che apre a sperimentare il rapporto con lui come una storia di gioia e di incontro. Per primo, mosso nel profondo da quell’affetto viscerale senza calcoli né condizioni “gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”. I segni dell’incontro sono quelli delle nozze, l’abito più bello, l’anello al dito, i calzari ai piedi, la festa.

Il suo amore trasforma una storia di morte - la morte di un rapporto, la morte del cuore del figlio che si attendeva un futuro da servo - in una storia di vita: ‘mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato’. Il padre buono è il padre che pone la fretta nel lasciare alle spalle la situazione passata per lasciare spazio solo alla gioia, al perdono, al senso di ritrovarsi.

La terza scena è ancora occupata da un movimento del padre, dal suo uscire per andare incontro, verso il figlio maggiore. E’ ancora lui che per primo esce a pregarlo: “suo padre allora uscì a supplicarlo”. Anche quel figlio viveva nella casa del padre, ma viveva da estraneo, da dipendente, da schiavo. Il suo modo di stare lì per tanti anni non aveva ancora compreso la cosa più importante, la gioia del rapporto, il poter stare insieme, la festa dell’incontro, una relazione come vita che vince la morte. Ma anche verso di lui, pur in modo diverso, il padre ha parole di misericordia, di invito. Gli suggerisce - con la passione di chi propone e apre strade di libertà - un percorso non solo per vivere un modo nuovo di stare in quella casa ma anche per scoprire cosa significhi essere fratelli: ‘figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato’.

Al cuore delle parabole sta una parola sul volto di Dio. Un Dio che va alla ricerca, un Dio che offre una via di incontro e libertà per chi è disorientato e perduto, un Dio preoccupato solamente della gioia dell’incontro e della scoperta di rapporti nuovi, della fraternità possibile. Un Dio attento alle piccole cose e ad ogni persona, che non pensa alle folle indistinte ma guarda i volti, che a ciascuno va incontro, e a ciascuno offre parole uniche e gesti diversi, che è coinvolto, attende e ha a cuore il cammino dei suoi figli aprendo a relazioni nuove là dove solo è possibile fare esperienza di Lui.

Dalla parola alla preghiera

Aiutaci Signore a smascherare gli idoli presenti nella nostra vita personale e negli ambienti sociali…

Aiutaci a pregare ricordando la storia di alleanza e di fedeltà del Tuo amore…

Manda il tuo Spirito perché ci apriamo a cambiare le nostre immagini di Dio ascoltando la parola e la testimonianza di Gesù…

Donaci di essere chiesa che sta vicina ai piccoli, agli oppressi, agli esclusi, agli emarginati. Rendici lontani dallo sguardo sospettoso e dalla mormorazione di chi ha il cuore indurito…

Uno spunto da…

A tutte le tessitrici del mondo (M. Riensiru)

Dio è seduta e piange.

la meravigliosa tappezzeria della creazione

che aveva tessuto con tanta gioia è mutilata,

è strappata a brandelli, ridotta in cenci:

la sua bellezza è saccheggiata dalla violenza.

Dio è seduta e piange.

Ma, guardate, raccoglie i brandelli,

per ricominciare a tessere.

Raccoglie i brandelli delle nostre tristezze,

le pene, le lacrime, le frustrazioni

causate dalla crudeltà, dalla violenza,

dall'ignoranza, dagli stupri, dagli assassinii.

Raccoglie i brandelli di un duro lavoro,

degli sforzi coraggiosi, delle iniziative di pace,

delle proteste contro l'ingiustizia.

Tutte queste realtà che sembrano piccole e deboli,

le parole, le azioni offerte in sacrifìcio,

nella speranza, la fede, l'amore.

Guardate!

Tutto ritesse con il filo d'oro della gioia.

Dà vita ad un nuovo arazzo,

una creazione ancora più ricca, ancora più bella

di quanto fosse l'antica!

Dio è seduta, tesse con pazienza, con perseveranza

e con il sorriso che sprigiona come un arcobaleno

sul volto bagnato dalle lacrime.

E ci invita a non offrirle soltanto i cenci

ed i brandelli delle nostre sofferenze

e del nostro lavoro.

Ci domanda molto di più;

di restarle accanto davanti al telaio della gioia,

ed a tessere con lei l'arazzo della nuova creazione.

(tratto da Spalanca la finestra. Testi di fede della Chiesa Universale, a cura di Comunità evangelica di azione apostolica, CEVAA, Trieste 2000, p. 116)

Il Dio che si perde alla ricerca di chi è perduto è il Dio dal volto materno che sa tessere storie sempre nuove, rapporti nuovi e non si stanca in quest’opera paziente, come ci ricorda il salmo 139: “Sei tu che hai formato le mie viscere, che mi hai intessuto nel seno di mia madre”.

Questo volto di Dio sconcertante apre alla considerazione sottolineata dalla riflessione delle donne sulla Bibbia che hanno aiutato scorgere il volto femminile di Dio.

In questo percorso si è guidati a comprendere come a fronte di una impostazione di separazione e di divisione che sta alla radice di un approccio violento e conflittuale alla realtà, l’agire di Dio si pone nella linea del tenere insieme, dell’azione sim-bolica e dell’ispirare comunicazione, così come la tessitura lega e unisce. “Bisogna tessere, disfare, scoprire le fila nascoste della connessione” (Mary Daly, Gyn/Ecology, Boston 1978, 400). Così come Penelope che nella sua azione di tessere continua a ricucire insieme e tenta di rimettere insieme quello che è il frutto di una lacerazione e di una disgregazione operata da altri.

Separare l’attenzione all’umanità da un lato e a Dio dall’altro, opporre adorazione di Dio e sguardo sul creato e liberazione umana è nella linea della lacerazione. Tessere è tenere insieme e scoprire come ogni attitudine, attenzione alla presenza di Dio e cura per l’umano, non cresce senza l’altra, anzi vi è una reciprocità ed una interrelazione.

Tessere è operazione dell’incontro, è anche agire nutrito di attesa e di lento pazientare, ha qualcosa a che fare con la gestazione, esperienza propriamente femminile in cui un corpo lentamente cresce e si costituisce in una sorta di tessitura progressiva. Proprio tale esperienza umana di attesa costituisce una profonda lezione di vita che apre a scoprire la custodia di un esistere che coinvolge ma non sta sotto il proprio controllo, non dipende da noi.

Elizabeth Green, nel suo testo Il Dio sconfinato. Una teologia per donne e uomini (ed. Claudiana 2007), pone radicalmente in discussione le norme e i criteri che hanno per secoli determinato l’uomo, nel senso di un appiattimento sulla sensibilità maschile, in cui l’ideale è la ‘civiltà del pieno’, la civiltà del fare, dell’efficienza, della pianificazione, del controllo. Sostiene invece essenziale oggi scoprire la dimensione dell’abitare il vuoto, propria dell’esperienza della gestazione, in cui assumono valore e consistenza tanti percorsi che vanno nella direzione opposta come il non avere, il non fare, il non dire, dove al centro sta la ricezione, l’accoglienza: in tale orizzonte si può situare il luogo della fede, come accoglienza di una promessa che rinvia ad un futuro, ad una lunga gestazione.

“…l’intessere del Creatore si incontra con l’intessere che ha luogo nella vita di ciascuno e ciascuna di noi, con quel processo di crescita, di rinnovamento, di trasformazione che accade veramente in segreto, nelle parti più profonde del nostro essere senza che noi sappiamo come. Noi non siamo solo il luogo in cui quell’intessere accade, diventiamo quell’intessere stesso. L’arazzo che Dio sta tessendo siamo noi! Siamo colei che lavorando ai ferri crea il corredo per la creatura, ma siamo anche la creatura che viene intessuta, ricamata” (Elizabeth Green).

Dalla Parola alla vita

In questi giorni è stato eletto il nuovo maestro generale dell’Ordine dei predicatori (domenicani). Alcune notizie sulla sua vita sono presentate nel sito del convento. Di lui vorrei citare una riflessione recente (Entre compassion et miséricorde, témoins de la Parole, “Cahiers saint-Dominique” 288,2007,23-33).

In questo articolo Cadoré pone una riflessione sui due termini compassione e misericordia, due parole che si richiamano reciprocamente e stanno al cuore dell’agire del sentire di san Domenico e l’hanno condotto a porre atti decisivi per il profilo dell’Ordine che da lui prenderà il nome: la scelta della mendicità, la cura per lo studio della verità, la preghiera di intercessione, la volontà di portare la buona notizia oltre le frontiere stabilite della chiesa.

In particolare si sofferma sull’aspetto che la compassione rende prossimi, come mostra la parabola del samaritano.

Testimoniare la Parola come compassione e misericordia apre tre strade:

1. la sfida delle dignità, oltre il giudizio ridare la parola;

2. l’audacia della verità: aprire la storia.

3. la speranza solidale: rompere la solitudine del fallimento per vivere.

Riporto alcuni brani in una mia traduzione:

“Spesso la sfida più essenziale del dialogo è quella di dare parola a colei o a colui che non la prendeva – perché gli è stata confiscata o perché ha l’illusione che sia impossibile prenderla -. Molti fallimenti umani sono il frutto di tali confische o autocensure della parola. Tacendo della sua storia la persona finisce con il desertificarsi. E le strategie che conducono a tali isolamenti sono purtroppo molteplici.

Ecco, per esempio, quella donna adultera posta in nome della legge al centro di accuse e commenti da parte di coloro che si preparano a darle la morte come punizione. Il contrasto è coinvolgente: tra il silenzio di questa donna, silenzio della paura e della vergogna insieme, e le accuse di coloro che con forza richiedono a Gesù una risposta.

Contrasto anche tra Gesù che, un istante prima insegnava alla folla e ora si tiene silenzioso, meditando e scrivendo sulla sabbia come la fragilità delle leggi supposte come divine quando sono applicate all’umanità. In modo sorprendente questi contrasti, questo dialogo venuto meno, hanno come esito l’abbandono, a loro volta degli accusatori e aprono, allora, di nuovo, la possibilità del dialogo: dove sono? nessuno ti ha condannata? nemmeno io ti condanno… La risposta: ‘nessuno, Signore’ è così la prima parola della donna che esce dal suo spaesamento ritornando dai confini della morte. E, da colui che le rivolge la parola, che le dona di nuovo la grazia di parlare di nuovo, può allora ascoltare e ricevere veramente la doppia parola che da un lato non è di condanna e dall’altro è di ripresa della strada dell’esistenza fuori dai solchi del suo peccato.

Ci vuole audacia per affermare la non condanna senza condizione, prima di invitare poi alla vita e chiamare alla libertà del soggetto chiamato. Ci vuole, in fondo l’audacia della verità. (…)

Nel dialogo, nel contesto del vangelo, c’è sempre una gestazione. Lo testimonia l’incontro, in segreto, di Nicodemo con Gesù. Nicodemo cerca la verità, e in un certo modo cerca come sarebbe possibile iscrivere la rivelazione manifestata da Gesù nella tradizione del nome del Dio Creatore. Attraverso la risposta portata da Gesù siamo richiamati al fatto che la sfida principale del dialogo di umanità è portare testimonianza che nello scambio tra le persone umane si attua una generazione di ciascuno alla verità. Si tratta della generazione non solo alla propria parola autentica, ma, attraverso di essa, al proprio destino di figlie e figli a propria volta chiamati dal Padre e promessi alla grazia di una nuova nascita. (…)

La compassione richiama ad incontrare l’altro al cuore della propria storia, in modo tale che egli possa dire ciò che vi percepisce di coerenza o di disordine. Il tempo che segue deve guardarsi da uno scoglio: quello di offrire immediatamente una risposta che avrebbe la pretesa di tappare la breccia della sofferenza, manifestando in modo esplicito che non si è mai chiusi in una sola interpretazione della propria storia. E il compagno inatteso invita i due uomini rattristati ad ascoltare una storia più grande della loro, più antica e profonda, nondimeno anch’essa attraversata dalla difficoltà, dal dubbio, dall’incomprensione. Uno dei tratti del dolore dell’umanità è di far credere a chi soffre che la sua storia è chiusa su se stessa e che chi soffre è solo ad affrontarla, in una condizione senza vie d’uscita. Raccontare la Bibbia, ‘parlare Dio’ in qualche modo, per dare all’esistenza del singolo la profondità della solidarietà con la storia di tutti, e al cuore di quest’ultima raccontare la solidarietà di Dio con la storia degli uomini. E dialogare con pazienza. avanzare, spesso a piccoli passi. Fino al momento in cui, come avvenne un giorno ad una tavola di una locanda a Emmaus, un gesto è possibile quale manifestazione che al cuore stesso di questa storia una Presenza dà segno, fa luce. Notiamo bene che questo dialogo che risolleva è ben diverso dal solo scambio verbale di domande e risposte. La sua forza, la sua sensatezza si coglie dal fatto che i nostri due compagni possono riprendere la parola, possono riprendere il cammino e leggere in modo nuovo la storia che li abbatteva. Coniugare la storia santa con la storia singolare, dove quest’ultima trova allora al cuore di se medesima la forza di inventarsi nuovamente attingendo alla vita. Dal sentimento di compassione, divenire testimoni della misericordia di Dio, che fa rivivere… “

Alessandro Cortesi op

I DOMENICANI del Meridione E LE SFIDE di oggi (Giustizia e Pace)

Al link sotto indicato si può trovare il recente comunicato di Giustizia e Pace, formulato dai Frati Domenicani del Meridione d'Italia sulle urgenze del nostro Paese.

Palermo, 10 Agosto 2009

http://groups.google.it/group/giustizia-pace-integrita-del-creato/browse_thread/thread/983c4859fa3e215b?hl=it
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IL POVERO NON E' UN CRIMINALE

Leggi qui http://www.giustiziaepace.it/index.php?option=com_content&view=article&id=63:il-povero-non-e-un-criminale&catid=9:relazioni-interne&Itemid=4 il comunicato che
, quali cittadini e cristiani,
abbiamo emesso in relazione a talune norme del disegno di legge c.d. sulla sicurezza, da poco approvato dal Senato della Repubblica.

Palermo, 7 Febbraio 2009

- Fra' Graziano Bruno o.f.m. , Moderatore di Giustizia e Pace per la Sicilia dei Frati Minori
- Francesco Lo Cascio, Movimento Internazionale per la Riconciliazione
- Salvatore Scaglia
, componente della Commissione nazionale di Giustizia e Pace della Famiglia Domenicana

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PETIZIONE contro la PEDOFILIA

Già i Romani avvertivano che "debetur puero maxima reverentia". Gesù Cristo, poi, è perentorio: "chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli [...], meglio per lui sarebbe che gli fosse appesa al collo una macina da mulino e fosse gettato in fondo al mare" (Matteo 18, 6).

Firmiamo dunque in massa la petizione internazionale contro la pedofilia (sul sito sotto indicato), promossa dall'associazione Meter di Fortunato Di Noto, sacerdote di Avola (SR), da anni impegnato sul fronte della tutela dei bambini.

http://www.associazionemeter.org/index.php?option=com_content&task=view&id=63&Itemid=68

Palermo, 28 Settembre 2008
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La chiesa di san Domenico a Palermo (pantheon dei siciliani illustri): nell'annesso convento - sul retro - si incontra la F.L.S.D.

L'obelisco dell'Immacolata, davanti alla chiesa, e il simulacro della Madonna del Rosario, all'interno, attribuito a Girolamo Bagnasco (prima metà XIX sec.)

Laici domenicani di Palermo e Catania a Caltanissetta, con la calotta cranica di San Domenico, nel Maggio 2009

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