8-11-09 - XXXI Domenica tempo ordinario - Anno B
1Re 17,10-16; Eb 9,24-28; Mc 12,38-44
“la farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia”
La pagina dell’incontro del profeta Elia con la vedova di Sarepta può essere definita un racconto di ospitalità ed una pagina che parla di fiducia. Ospitalità innanzitutto, da parte di una vedova in una situazione di povertà e di carestia. E’ nella condizione di raccogliere la legna per cuocere l’ultimo cibo per sé e per il figlio vedendo avvicinarsi lo spettro della fame sulla sua casa. Eppure, davanti alla richiesta del profeta che le chiede acqua e pane, sceglie di condividere la poca farina e le ultime gocce d’olio nella giara. Un gesto semplice e quotidiano, il far parte del cibo essenziale, farina e olio, che esprime il senso profondo di un’accoglienza non proclamata ma vissuta nella concretezza. La vedova è presentata come colei che sa prendersi cura, pur nella sua povertà. Il suo pensiero non si limita al figlio ma si apre all’ascolto della voce dell’ospite che la chiama a condividere. E condivide senza calcoli e senza riserve.
Ma questa è anche una pagina di fiducia: la vedova si affida alla parola di Elia. Sa scorgere nella richiesta dello sconosciuto una parola di Dio che la spinge a condividere e si fida. E si affida a questa parola. Come Elia stesso si era affidato alla parola di Dio facendo della sua vita un itinerario di ascolto e di disponibilità a seguire le esigenti e diverse chiamate di Dio nella sua storia. E così la farina non si esaurì e l’olio non venne meno, annota questa pagina, “secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia”. C’è una parola di Dio che passa al di dentro delle parole umane e c’è una promessa di Dio che, se accolta, diviene forza che trasforma le prospettive chiuse e il buio della morte in apertura di vita e di orizzonti nuovi. Elia, l’uomo di Dio e la vedova che lo accoglie, divengono così paradigmi della situazione di quel ‘resto di Israele’ che al di là di calcoli e progetti umani, pone la sua sicurezza nell’affidarsi sul Signore.
Ci si potrebbe chiedere in che modo oggi le comunità credenti sanno riporre la loro fiducia nella chiamata del Signore che giunge attraverso la voce di quanti chiedono ospitalità e aiuto. La situazione di carestia oggi assume le forme della disuguaglianza tra i popoli, e della crisi economica che genera nuove povertà e indigenze.
“Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete”
Marco accosta alcune parole sferzanti e di profonda critica da parte di Gesù agli scribi e a coloro che amano avere i primi posti ad un episodio in cui Gesù offre un insegnamento ai suoi amici a partire dall’osservazione di un fatto piccolo, che facilmente poteva sfuggire.
La critica radicale e dura che emerge dalle parole di Gesù è uno smascheramento dell’ipocrisia e del ripiegamento su di sé, proprio di chi ha un ruolo di maestro ma nella sua vita vive una profonda incoerenza. Amano avere i primi seggi nelle sinagoghe, quindi i posti più in vista nelle riunioni religiose, ma per contro ‘divorano le case delle vedove e pregano per farsi vedere’. Tutto ciò procura guadagni di potere, stima e gloria mondana. Ma non vivono rapporti di giustizia e di attenzione ai più deboli. La critica non è solamente rivolta ad alcune figure che Gesù poteva aver incontrato nella sua vita terrena, ma il vangelo riporta queste parole per gli ambienti e le persone religiose di ogni tempo e di tutte le latitudini. C’è chi vive l’esperienza religiosa nei suoi aspetti esteriori, che non coinvolgono la vita e non generano scelte per cui pagare di persona chi proclama ostentatamente ‘valori’ e ‘radici religiose’ senza fare di questi orientamenti criteri per la propria vita. C’è una illusione ed una menzogna presente in queste persone: mettere al primo posto la ricerca della propria affermazione, la ricerca di sé, al posto dell’amore di Dio e del prossimo che per Gesù è sintesi di quanto Dio chiede a noi. E’ una tendenza presente soprattutto in chi ha ruoli di guida e maestro, la possibilità di insuperbire e di vivere in un egoismo profondo e nella sete di un potere presso gli altri senza rendersi conto che il culto a Dio non può andare scisso dal servizio al povero. Nel vangelo di Matteo tale comportamento è definito come quello di ‘sepolcri imbiancati’ (Mt 23,27) e ci si può chiedere ancor oggi se la tensione che sta al cuore di tante guide anche nella chiesa sia effettivamente nella linea di lasciare spazio al vangelo, nel sostenere la fatica e le scelte di chi cerca di farsi vicino e compassionevole verso gli ultimi, oppure non sia piuttosto di compromesso con una religiosità borghese e ipocrita, che mette insieme il culto esteriore e scelte di ingiustizia e rifiuto dell’altro nel lavoro e nella vita. E’ sempre al varco la possibilità di piegare le parole del vangelo ad aggiustamenti di compromesso con il potere umano o nella ricerca di un vantaggio e di una affermazione mondana nella preoccupazione non del primato di Dio che si specchia nel volto del povero, ma della propria importanza e della propria gloria. Anziché usare del ruolo di guida per attuare un reale servizio e per divenire tessitori di ospitalità versi i piccoli, tale ruolo è usato per trovare onori e riconoscimenti umani, per sé stessi o per l’istituzione. Tale comportamento si distanzia da quello di Gesù che ha vissuto non la ricerca dei primi posti ma ha cercato di alleviare la sofferenza delle vedove dei malati degli impoveriti, che ha cercato non i posti di rilievo nei banchetti, ma la compagnia di chi era considerato peccatore pubblico dai religiosi benpensanti.
Gesù invita i suoi a guardare un gesto piccolo che sfugge ai più: un gesto di una vedova che nel tesoro del tempio getta due monetine. E’ un’offerta misera se la si considera secondo la quantità, ma è ‘tutto quello che aveva per vivere’. La sua offerta attuata con discrezione, non per farsi vedere, quasi di nascosto, diviene segno di un dono che supera ogni altro. Perché è dono della sua vita, è affidamento al Dio che la farà andare avanti anche nella sua miseria. Gesù dice così che l’intenzione vale più di ogni esteriorità, e dice anche ai suoi che questo gesto è un gesto di verità. Ma invita anche i suoi ad avere uno sguardo capace di andare oltre ciò che appare, oltre i luccichii, i primi posti e di leggere e di dare spazio ai segni e ai volti piccoli e nascosti, i gesti dei poveri.
Alessandro Cortesi op