1-11-09 - Tutti i santi - Anno B
Ap 7,2-4.9-14; Sal 23; 1Gv 3,1-3; Mt 5,1-12a
“Dopo queste cose vidi: ecco una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: la salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’agnello”
Il libro di apocalisse è un testo di ‘rivelazione’, non quindi apocalisse come ‘fine del mondo’ ma come lettura profonda della storia alla luce della Parola di Dio e del vangelo, che conduce a cogliere nei drammi e nelle prove del presente il cammino orientato ad un incontro con Dio che salva. Gesù Cristo è presentato nell’immagine dell’agnello ferito, ma che sta in piedi, perché è risorto e ha vinto la morte, così la sua comunità, sa didover vivere nel tempo la prova e la sofferenza ma sa anche che Gesù Cristo è colui che può sciogliere i nodi che legano il libro della vita e della storia.
Questo incontro ha i tratti di una grande liturgia in cui chi partecipa è coinvolto, è gioioso e non c’è solitudine. L’autore di apocalisse ‘vede’ così una moltitudine immensa che non può essere contata: immensa, che nessuno poteva contare, oltre le possibilità di metetre dentro i nostri numeri umani. E’ la moltitudine di tutti coloro che hanno vissuto la loro testimonianza. La palma è simbolo della testimonianza e la testimonianza rinvia al dono della fede e del battesimo: chi ha cercato di vivere la sua fede fino alla fine è testimone, (martire) e ciò significa che tutta la sua vita è stata orientata all’incontro con Dio e ha percorso la strada che Gesù per primo ha seguito, agnello inerme e indifeso, il crocifisso risorto.
Nella festa di tutti i santi la parola dell’apocalisse ci invita a guardare la nostra vita come esperienza di tanti volti e tanti nomi. E’ una festa che ci parla di comunità, di incontro vissuto insieme, di liturgia come esperienza vivente e festosa, esatto contrario dell’individualismo e della solitudine senza apertura all’altro.
E’ una festa che ci parla anche di ciò che sta al centro di questo ritrovarsi: Dio e l’agnello. E’ una festa pasquale: tutti i riferimenti vanno alla pasqua di Cristo che diviene la pasqua del credente e della comunità che vive nel tempo il morire e risorgere con Gesù.
“Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui perché lo vedremo così come egli è.”
La prima lettera di Giovanni richiama l’itinerario della fede, tra un ‘già’ che noi sperimentiamo e che viviamo nel presente, ed un ‘non ancora’ da attendere, da costruire, anche da affrettare. Ancora non è rivelato il nostro volto più profondo: sin d’ora siamo figli di Dio, partecipi di una relazione di vita. Siamo chiamati col il nome della benedizione, con il nome unico che Dio ha pronunciato per ciascuna e ciascuno chiamando alla vita. Ma questo nome è anche un seme che deve crescere che richiede cura nutrimento, luce e spazio: è chiamata perché possa svilupparsi una crescita. C’è nella esistenza una chiamata fondamentale che si differenzia per ciascuno e nelle varie tappe e circostanze della vita: diventare simili al volto di chi ha fatto della sua vita un dono per il Padre e per gli altri: il volto di Gesù . Nell’incontro con lui si compie il nostro nome e lì si attua quella somiglianza che possiamo attuare solamente guardando verso di lui. La vita dei cristiani si colloca anche in una attesa che non è vuota ma piena: piena di dolore talvolta, ma anche piena di responsabilità. Dolore perché non vediamo e non lo vediamo. Ma è anche un’attesa piena di responsabilità, perché appoggiandoci sull’esperienza dell’amore che Dio ci ha datio, sui segni da scorgere della sua presenza, possiamo aprirci alla speranza: lo vedremo, non rimarremo soli, la nostra vita va verso una comunione tra di noi e con Lui. Lo vedremo così come egli è, ma questo incontro è già iniziato in quel vedere che è lo sgaurdo del credere, lo sguardo che si lascia trasformare e purificare nell’affidamento.
“Beati i miti perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perché saranno saziati”.
Troppo spesso la nostra vita cristiana si lascia guidare da un continuo misurarsi sui comandamenti, letti più spesso come norme che opprimono e schiacciano l’esistenza, piuttosto che come le ‘dieci parole’ che prendono luce e senso dalla prima parola che è la parola dell’alleanza e dell’amore: “io sono il Signore tuo Dio”. Gesù propone un metro nuovo e dirompente per la nostra vita: quello della felicità. I poveri in spirito, quelli che sono nel pianto, i miti, quelli che hanno fame e sete di giustizia, i misericrodiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per causa della giustizia, tutti voi quando vi insulteranno… sono chiamati a rallegrarsi. Ma di che cosa ci si deve rallegrare? Gesù non vuole per i suoi la povertà, la persecuzione, l’ingiustizia. Piuttosto annuncia a chi lo ascolta che Dio sta dalla parte di tutti coloro che vivono in queste situazioni, e si fa loro vicino, per liberarli, prende le loro parti anche per dire loro che Dio ‘ha guardato alla condizione umile dei suoi servi’, di tutti coloro che si affidano a lui e non hanno potenza e ricchezza e strumenti di affermazione umani. Questa è la ragione del rallegrarsi: se viviamo in questi orizzonti, anche se umanamente non siamo ai primi posti, anche se si è ritenuti dei falliti o dei perdenti, anche se il tessere relazioni nuove è giudicato come ‘buonismo’, siamo nella strada di Gesù. E’ di lui che si parla nella pagina delle beatitudini, il vero povero, mite, puro di cuore. Chi si appoggia solamente in lui trovando in lui il senso della propria esistenza può aprirsi ad una vita bella, ad una gioia profonda, ad un rallegrarsi pur vivendo situazioni che umanamente sono considerate perdenti e sfortunate: una vita non da schiavi sotto i ‘comandamenti’ ma da persone libere secondo la libertà gioiosa delle beatitudini.
Alessandro Cortesi op