22-11-09 - Solennità di Cristo re - XXXIV Domenica del tempo ordinario - Anno B
Dn 7,13-14; Ap 1,5-8; Gv 18,33b-37
“Tu sei il re dei Giudei?”
Nel dialogo di Gesù con Pilato l'autore del IV vangelo presenta un drammatico dibattito attorno alla questione del regno che Gesù è venuto ad inaugurare e sulla questione della verità.
La domanda rivela l'inquietudine del potere politico di fronte alla predicazione e all'agire di Gesù che avevano suscitato il risvegliarsi di attese di liberazione e di riscatto all'interno del popolo. Si trattava di un messaggio e di una pratica con aspetti di sovvertimento dell'ordine costituito: non solo si era resa manifesta la forza della sua predicazione che toccava le attese di spiritualità della gente, ma il suo annuncio e la sua testimonianza di vita comportavano un nuovo ordinamento dei rapporti tra le persone e con profonde conseguenze di tipo politico. Nel dialogo con Pilato emerge quindi la questione sul regno di Gesù come questione importante su cui si gioca il suo destino.
“il mio regno non è di questo mondo, se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai giudei”
Nelle risposte di Gesù a Pilato si può cogliere un crescendo in cui si rendono visibili alcuni caratteri del regno che Gesù è venuto ad inaugurare. Nel IV vangelo si può rintracciare una linea di riflessione su questo tema fondamentale. Natanaele aveva indicato Gesù come ‘re d’Israele’ (Gv 1,49) e il popolo aveva acclamato Gesù come re quando egli era entrato a Gerusalemme (Gv 12,13), ma lo stesso Gesù aveva preso le distanze in maniera chiara quando il segno della motliplicazione dei pani aveva suscitato attese di tipo politico, ed in quel momento “sapendo che stavano per farlo re si ritirò sulla montagna, tutto solo” (Gv 6,15).
Davanti a Pilato Gesù prende le distanze dall’essere considerato re secondo l’esperienza di chi conosce il sistema del governo imperiale. Il suo regno viene da altrove, non può essere interpretato con le categorie proprie dei regni umani. Proprio per questo non ha messo in campo la spada - una delle caratteristiche dei regni umani - per difendersi e per imporre il proprio dominio: Gesù si è liberamente consegnato a chi è venuto a prenderlo, ed è un tratto fortemente sottolineato proprio nel IV vangelo nella scena dell'arresto di notte nell'orto degli Ulivi (Gv 18,3.10-11). E' rilevante che la prima differenza che Gesù pone nel suo essere re stia nel rifiuto dell'uso della violenza. Il regno di Gesù è una realtà nuova caratterizzata da una logica diversa, quella della pace e dell'inermità.
Pilato, il prefetto della Giudea, rappresentante del potere politico romano, colui che ha potere di giudizio si trova lui stesso ad essere posto in interrogazione e Gesù lo disorienta. Il procedere del dialogo, che è interrogatorio parte di un processo, si accentra ancora sulla caratteristica di Gesù come re: "Dunque tu sei re?". Sarà questa la ragione della condanna che viene manifestata pubblicamente sull’iscrizione della croce scritta nelle tre lingue, ebraico, latino e greco, leggibile da tutti: ‘Gesù il nazareno, il re dei Giudei’ (Gv 19,19-20). Ma proprio sulla croce si rivela il volto di un re che serve, che vive la sofferenza e si dona come uomo per gli altri.
"Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce".
Gesù unisce il suo essere re alla sua missione di testimone: è venuto a rendere testimonianza alla verità. Condivide la missione di testimoniare della verità propria dei profeti in Israele. Il suo essere re si pone non sulla linea di quella regalità, oggetto della critica radicale dei profeti, ma proprio quale testimonianza della verità che fa propria la tensione profetica. La ‘verità’ che nel linguaggio biblico è indicata dall’immagine della ‘roccia’, sempre unita alla fedeltà dell'amore, costituisce la caratteristica principale del Dio di Israele. Rispondendo così a Pilato Gesù indica il modo particolare di essere ‘re’ come testimonianza della presenza di Dio. Il ‘regno di Dio’, già iniziato nelle sue parole e nei suoi gesti, è evento già in atto di un nuovo rapporto con Dio Padre fedele che prende le parti dei poveri ed è nuovo modo di vivere i rapporti con gli altri: non un nuovo dominio, ricerca di interesse e potere, non luogo di disuguaglianza, ma tessuto di relazioni nuove in cui incontrare l’altro come fratello e orientare tutta l’esistenza a Dio. Il regno che Gesù annuncia non è percorso di singoli ma ha una valenza comunitaria e universale. Ad una lettura immediata è Pilato il rappresentante dell'imperatore, che sta giudicando Gesù: di fatto il IV evangelista presenta un giudizio che si sta compiendo di fronte a Gesù in cui si prende posizione davanti a lui. Il problema di fondo è quello di accettare o meno la proposta del suo essere 're', ma in modo unico e scandaloso.
"Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: 'Ecco l'uomo!'. Al vederlo i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: 'Crocifiggilo, crocifiggilo!'".
Gesù è un re che ha inteso la sua vita come servizio fino alla fine. Ed egli chiede ai suoi di entrare nel regno facendo della propria vita un luogo di servizio e di attenzione solidale agli altri. 'Ecco l'uomo': nei tratti di quest'uomo umiliato e offeso sta la salvezza e il senso della nostra vita, sta la verità di ogni donna e uomo.
Alessandro Cortesi op