25-10-09 - XXX Domenica del tempo ordinario - Anno B
Ger 31,7-9; Eb 5,1-6; Mc 10,46-52
Ecco li riconduco dalla terra del settentrione e li raduno dalle estremità della terra; fra loro sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente: ritorneranno qui in gran folla
Nel libro della consolazione che copre i capp. 30-33 del libro di Geremia si annuncia un ritorno del popolo che ha sperimentato la devastazione e l’umiliazione dell’esilio. Ma si sta preparando qualcosa di assolutamente nuovo, un intervento di Dio, una nuova creazione, che ha come segno il ritorno. Israele, nonostante il disastro dell’esilio è considerata ‘la prima delle nazioni’: è oggetto delle promesse di Dio non perché popolo potente o più importante di altri, ma per la gratuità dell’amore di Dio che ha ascoltato il grido degli schiavi in Egitto ed ha promesso fedeltà nel liberarli.
Il legame che unisce la presenza di Dio al popolo è così un vincolo intimo e affettuoso: “io sono un padre per Israele, Efraim è il mio primogenito”. Scoprire questa presenza vivente e vicina, appassionata nel donare il suo amore, è motivo per sfuggire da ogni tipo di idolatria e cecità.
Il Dio vicino è colui che si preoccupa dei più deboli, di chi è affaticato e vittima. Il segno della sua presenza è la cura per radunare insieme una comunità di popolo in cui c’è il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente. E’ un Dio che prende le parti dei deboli e li accoglie.
Và la tua fede ti ha salvato. E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada
Nel suo vangelo Marco aveva già narrato l’incontro di Gesù con un cieco: a Betsaida, quando Gesù guarì un cieco, subito dopo è presentato l’episodio della risposta di Pietro alla domanda di Gesù ‘Voi chi dite che io sia’ (Mc 8,27-30). La guarigione del cieco di Betsaida è quindi un momento di passaggio che prepara la confessione di Pietro. Al cap. 10 la guarigione del cieco sulla strada è preparazione all’acclamazione delle folle nei confronti di Gesù nel suo ingresso a Gerusalemme. Lì Gesù verrà accolto e acclamato come il re atteso, il messia.
La guarigione del cieco di Gerico avviene sulla strada. Sulla strada il cieco stava seduto a mendicare; sulla strada Gesù passa; sulla strada, al termine di questo incontro, il cieco si mette a seguire Gesù, tornando a vedere per suo dono. Ed è un seguire che si fa storia, che continua: Marco lo sottolinea con l’uso dell’imperfetto (‘e lo seguiva…’).
L’episodio ha al suo centro il grido del cieco: ‘Gesù, figlio di Davide abbi pietà di me!’ In questo grido Marco presenta una confessione di fede in Gesù, presentato come il figlio di Davide, legato quindi al re che voleva costruire una casa a Dio stesso e a cui Dio aveva donato la promessa di una discendenza, un casato vivente, che avrebbe portato la benedizione di Dio stesso. Questa promessa era stata vista come il rinvio ad un’epoca di pace in cui Dio sarebbe intervenuto inviando un consacrato (unto/messia), che avrebbe portato pace, e capovolto le sorti dei sofferenti e degli emarginati.
Le promesse riguardanti il messia comprendevano una serie di segni propri del messia, segni di liberazione e di salvezza (2Sam 7,8-17; Is 11,1-9). Tra questi l’aprire gli occhi ai ciechi.
Nel grido del cieco Bartimeo, figlio di Timeo, è racchiusa tutta questa attesa e questa speranza. Si rivolge a Gesù, mentre la folla si pone come ostacolo, cerca di zittirlo. Egli insiste nel supplicare Gesù scorgendo in lui il ‘figlio di Davide’. In Gesù egli, cieco, riconosce il messia, presenza attesa, inviato di Dio per portare la giustizia.
A differenza di quanto altre volte era avvenuto nel vangelo in altri incontri, Gesù non dice al cieco di stare zitto e di non parlare di lui, ma lo fa chiamare. Bartimeo abbandona il mantello, proprietà indispensabile e propria del povero a causa del freddo notturno da cui ripararsi, e viene da Gesù senza lasciar tempo frammezzo. Senza vista e senza il mantello, che era la sua unica ricchezza, si pone davanti a Gesù. Al suo interrogarlo risponde: ‘Rabbunì che io riabbia la vista’. E Gesù gli dice: ‘Va’ la tua fede ti ha salvato’. Si rivolge al cieco così come si era rivolto alla donna malata che non aveva trovato soluzione al suo disagio e lo aveva toccato, in mezzo alla folla (Mc 5,34). Come quella donna anche il cieco cerca di accostarsi a Gesù con un atteggiamento di fiducia, di abbandono e di povertà radicale. Gesù gli risponde riconoscendo la sua fede. Il grande segno è questo. La vista che il cieco recupera è segno del vedere nuovo che la fede porta nella sua esistenza. “E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada”. A partire dal cap. 8 Gesù aveva iniziato ad insegnare ai suoi discepoli lungo la strada ciò che significava il suo percorso. Insegnava sulla strada perché non si trattava unicamente di qualcosa da imparare ma di una relazione con lui da vivere andando insieme, condividendo le sue scelte e il dono della sua vita, nonostante il rifiuto. Ma sulla strada Gesù si era scontrato con l’incomprensione e la durezza del cuore dei discepoli, incapaci di comprendere e chiusi nella ricerca dei primi posti o di un’affermazione troppo umana. Solamente l’affidarsi pienamente a Gesù ed il lasciarsi trasformare la vista in tale abbandono può rendere capaci di seguirlo verso Gerusalemme, luogo della passione e della croce. Marco situando l’incontro con il figlio di Timeo a questo punto del vangelo intende così indicare nel cieco un esempio del discepolo. Discepolo è colui che si lascia cambiare da Gesù, che si apre a vedere in modo nuovo, nella fede in Gesù come messia inviato dal Padre e lo segue sulla strada. Per seguire Gesù sulla via della croce è necessario un intervento suo. Solo da lui può venire la luce per cogliere nel dramma di una morte ingiusta il senso di una vita che si dà in dono per gli altri. Questo miracolo è l’ultimo che il vangelo di Marco presenta: ci sono cecità profonde che esigono di essere guarite anche nella vita dei discepoli, la mancanza di fiducia e l’incomprensione della via di Gesù che è la via del dono e del servizio, la via della croce.
Alessandro Cortesi op