20-12-09 - IV Domenica di Avvento – Anno C
Mi 5,1-4; Eb 10,5-10; Lc 1,39-48
“Così dice il Signore: E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che dev’essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti. Dio li metterà in potere altrui fino a quando colei che deve partorire partorirà. Egli pascerà con la forza del Signore”
Da una piccola città della regione di Giuda vicino a Gerusalemme una donna incinta sta per dare alla luce un nuovo re Davide, colui che porterà la giustizia e la pace. Un disegno di salvezza e di bene si svolge nella storia non attraverso la potenza umana e la violenza ma attraverso la forza della debolezza, nell’inermità. Betlemme è la periferia della storia, è terra dei margini: da lì – annuncia il profeta - uscirà un ‘dominatore’ senz’armi e senza potere. Dalla piccola famiglia di clan presente nella regione di Betlemme, chiamata Efrata, ‘la feconda’, da lei, nella sua insignificanza e piccolezza, secondo lo stile di agire di Dio incomprensibile alla logica umana, Dio farà uscire colui che raduna e pasce con la forza del Signore. Un corpo in una storia di famiglia, di carne e sangue, di concretezza umana che attraversa la storia.
“Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: ecco io vengo… per fare o Dio la tua volontà… Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre.”
Attraverso l’offerta del suo corpo Gesù ha portato a compimento la volontà del Padre ed in questo modo ci ha resi partecipi della vita stessa dell’unico ‘santo’, il Padre. L’offerta del suo corpo è dono di tutta la sua persona. Gesù ha reso la sua vita umana luogo dell’obbedienza fino alla fine al Padre: fino alla morte rimase figlio in ascolto, obbediente (cfr Eb 5,8). Questa offerta fa di lui il nuovo Adamo: la sua corporeità viene trasformata nell’appartenere totalmente a Dio e animata dallo Spirito santo (1Cor 15,46): nel suo fare della vita un dono Cristo trasforma tutto il suo essere in corpo animato dallo Spirito. Possiamo così cogliere due importanti indicazioni: ogni accostamento a Gesù che non tenga conto della sua corporeità non è fedele all’annuncio del vangelo. Ogni accostamento agli altri che non prenda in cura il corpo come luogo di relazione non è fedele al vangelo. Ogni ‘corpo’ sofferente, escluso, maltrattato, reso prigioniero della sofferenza e del male, ci rende presente la chiamata di un Dio che si è fatto vicino a noi entrando nella nostra storia nel corpo di Gesù.
“benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! …. Beata colei che ha creduto all’adempimento delle parole del Signore”.
E’ ancora il grembo di due donne al centro della pagina di Luca: il grembo di Maria che sta portando Gesù e quello di Elisabetta che porta Giovanni. Luca riporta nelle parole di Elisabetta rivolte a Maria quasi il frammento di un inno formulato come benedizione e beatitudine che costituisce una tra le preghiere che costellano i primi due capitoli del suo vangelo. Sono parole che evocano ancora il salmo: ‘Il Signore ha giurato a Davide e non ritratterà la sua parola, il frutto delle tue viscere io metterò sul tuo trono’ (Sal 132,11). Una benedizione intrisa di ammirazione per un evento che coinvolge il corpo, la fecondità. Il grembo di Maria ha i tratti del luogo in cui si riconosceva la presenza di Dio l’arca dell’alleanza: Elisabetta dice a Maria ‘a che debbo che la madre del mio Signore venga a me?’ e rievoca una domanda presentata nel 2° libro di Samuele da parte di Davide, nel momento in cui venne trasportata l’arca dell’alleanza, luogo in cui erano conservate le tavole dell’alleanza segno della presenza e della compagnia di Dio in mezzo al popolo d’Israele nel cammino lungo il deserto: “Davide in quel giorno ebbe paura e disse: come potrà venire da me l’arca del Signore?” (2Sam 6,9).
Al passaggio dell’arca Davide danzò senza pudore, per la gioia di accogliere il segno della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Luca ricordando quella pagina vede in Maria la nuova ‘arca dell’alleanza’, luogo dell’incontro tra Dio e l’umanità. Dio si fa presente in mezzo al suo popolo non con un segno ma nella presenza vivente del Cristo e tutto respira una gioia nuova testimoniata da una nuova danza: è Giovanni questa volta, che rievocando la danza appassionata di Davide, si mette a danzare nel grembo di Elisabetta “Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi il bambino ha esultato (danzato) di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore”
Maria è indicata come ‘colei che ha creduto’: non solo ha accolto la chiamata di Dio, ma ha continuato a credere lungo tutto il percorso della sua esistenza. E’ ‘beata’ non solo perché ha portato nel suo grembo Gesù, ma perché l’ha accolto nel suo cuore ed ha camminato per la faticosa via della sequela a lui lungo la strada. Maria assume il profilo di chi si affida: ‘Beato chi teme il Signore e cammina nella sue vie’ (Sal 128,1-2) e veramente Maria ha seguito Gesù lungo la strada del credere: donna dell’ascolto. A chi si rivolse a Gesù dicendo ‘Beato il grembo che ti ha portato’, Gesù risponde “beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 11,27-28).
Il concepimento di un figlio costituiva in Israele una benedizione segno della presenza di Dio. ‘Un corpo mi hai preparato’: al centro del Natale sta il corpo di Gesù, un corpo fragile, piccolo, corpo di un bambino che nasce in un contesto di esclusione e di allontanamento: è il corpo di un bambino, il ‘segno’ indicato ai pastori nella nascita, ed il corpo di Gesù disprezzato, appeso alla croce e sottratto al buio del sepolcro e della morte. La fede vive in questo riferimento a Gesù Cristo nella sua corporeità e nel suo essere partecipe della nostra storia: la festa Natale va così letta in stretto rapporto alla risurrezione, alla Pasqua.
Alessandro Cortesi op