VI domenica tempo ordinario anno C
Ger 17,5-8; 1Cor 15,12.16-20; Lc 6,17.20-26
“Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, che pone nella carne il suo sostegno … Beato l’uomo che confida nel Signore e il Signore è sua fiducia”
Geremia denuncia la grande forma dell'idolatria: l'uomo che confida in se stesso, nei mezzi del potere, nelle varie forme di autoesaltazione. Questa strada conduce al fallimento, è una strada che produce male. E si contrappone ad un'altra via, la via della fiducia, la via del de-centramento della vita che trova il sostegno e il centro della vita nell'incontro con un Tu da cui accogliere tutto come dono e non pretendere di vivere l'esistenza come conquista. E' un decentramento di fiducia da riporre nel Signore che rende consapevoli della fragilità della vita e del fatto che la consistenza ed il senso alla propria esistenza è la relazione con il Dio creatore e liberatore.
La via del male è espressa nel linguaggio dei guai: un linguaggio tipico dei profeti, riscontrabile ad esempio in Isaia (5,8-24; cfr. Am 5,18;6,1): “Guai a voi che aggiungete casa a casa e unite campo a campo, finché non vi sia più spazio e così restate soli ad abitare nel paese… Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro…” sono ‘guai’ rivolti a chi specula, a chi è preoccupato solo del suo piacere, a chi è immorale, perverso, a chi è arrogante e prepotente, a chi è un politico corrotto.
“beati voi quando gli uomini vi odieranno… Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli.”
Mentre Matteo colloca il grande discorso di Gesù sul monte agli inizi del suo vangelo, quale primo dei cinque grandi discorsi che scandiscono il vangelo, Luca riporta il discorso di Gesù sulle beatitudini collocandolo sulla pianura dopo che Gesù aveva trascorso la notte in preghiera, era disceso dalla montagna e aveva chiamato a sé i Dodici a cui diede il nome di apostoli (Lc 6,12-16).
Luca presenta solamente quattro beatitudini a differenza delle otto di Matteo, seguite da quattro ‘guai’, modo tipico della letteratura semitica per contrapporre alla via della benedizione, la via dell’errore e dell’infedeltà e per rimarcare e far risaltare l'importanza del primo elemento. A differenza di Matteo le beatitudini di Luca raggiungono direttamente l’ascoltatore usando la seconda persona plurale: beati voi… coinvolgendo direttamente l'ascoltatore in una dinamica di accoglienza e decisione di fronte a questo annuncio. Matteo Luca propongono così in modi diversi un discorso che può essere letto come il cuore dell'insegnamento di Gesù, il profeta del regno di Dio. Le beatitudini sono il cuore di questa proclamazione che il regno di Dio si è fatto vicino e si fa incontro già nelle sue parole e nei suoi gesti, nella sua presenza. I profeti avevano indicato alcuni segni del tempo in cui sarebbe arrivato il messia: Dio stesso si sarebbe preso cura dei poveri, degli affamati dei perseguitati. Gesù proclama che questo tempo è arrivato. Le beatitudini sono la proclamazione di una gioia possibile e da scoprire per chi vive situazioni umanamente di fallimento di dolore e di sofferenza. E' importante innanzitutto notare che Gesù non intende giustificare situazioni di male e di ingiustizia. Al contrario la sua azione è sempre andata nella direzione di denuncia delle situazioni ingiuste e di impegno a liberare chi soffriva a causa di situazioni non volute, come la povertà, di pesi imposti da altri o per sofferenze fisiche e psichiche. I gesti e le parole di Gesù sono sempre espressioni di liberazione, di restituzione della persona a se stessa, di riscoperta della libertà di vivere liberati dal giogo interiore od esteriore che opprimeva.
Le beatitudini non intendono quindi né proporre interventi di tipo miracoloso e neppure essere una parola consolatoria di fronte a situazioni di sofferenza. Sono piuttosto l'annuncio di una gioia, grande, sicura aperta. Felici voi...
Il centro dell’annuncio delle beatitudini sta nell'affermazione che il regno è arrivato e Dio prende le parti di chi è povero, di chi ha fame, di chi piange di chi è odiato e insultato. La radice dell'annuncio di gioia sta nell'apertura alla presenza di Dio nella propria vita, non nelle promesse e utopie di felicità fondate sui progetti umani. Gesù indica che solamente chi vive da povero, da affamato, da sofferente e perseguitato è in grado di sperimentare l’apertura ad accogliere la salvezza come dono e non come esito delle sue forze e prodotto della sua potenza. Per contro chi è appesantito dalle cose, chi vive nella spensieratezza, nella sicurezza e nell’abbondanza non può fare spazio nel suo cuore per accogliere l’amore di Dio. Chi vive così ha già le sue sicurezze e vive sazio e soddisfatto, ma è occupato dagli idoli soprattutto dall’idolo del proprio ‘io’.
I ‘guai’ che vengono contrapposti alle beatitudini sono un rimprovero forte rivolto a chi vive tranquillo nel disinteresse verso gli altri e pensa che la fede sia privilegio e un possesso che consente di non farsi carico degli altri, anzi di opprimere e di mantenere e favorire situazioni ingiuste di oppressione e di sfruttamento.
La proposta di Gesù è una proposta di realizzazione e di felicità, nella giustizia che è compimento della fedeltà del Padre. Soprattutto Luca sottolinea l’atteggiamento della povertà quale dimensione fondamentale per poter essere disponibili al regno di Dio. I poveri di Jahwè sono coloro che vivendo la mancanza di sostegni umani hanno riposto la loro fiducia incondizionata nelle promesse di Dio e su queste promesse hanno impostato la loro intera esistenza.
Luca insiste sulla attitudine della gioia: E’ proprio la gioia il messaggio profondo delle beatitudini, proclamazione di una felicità nuova e inaudita perché Dio ha cura del debole e del povero e perché Dio ha scelto la via della povertà e dell’inermità per farsi vicino a noi e in questo modo ha capovolto tutti i criteri umani di realizzazione e di affermazione. Le beatitudini sono una grande pagina che parla di Gesù, della sua identità in cui trovare speranza e forza per un nuovo modo di vivere.
Le beatitudini sono così la proposta di uno stile spiritualità che potrebbe essere delineato concretamente secondo alcune direttrici: una spiritualità innanzitutto non della ricerca del potere ma della povertà e dei mezzi poveri, non della ricerca di essere presenza di chiesa nella società con gli strumenti dell'influsso politico e del potere mediatico, ma con la testimonianza quotidiana e ponendo segni di liberazione e di solidarietà. Una spiritualità della vicinanza ai deboli e non dell'interesse particolare e del possesso, del farsi prossimi a tutte le situazioni di sofferenza perché Dio sta dalla parte di chi soffre. Una spiritualità di liberazione per continuare i gesti e la vicinanza di Gesù ai poveri. Una spiritualità di serenità anche nella crisi, che sappia accogliere la gioia anche quando si vive l'incomprensione, l'ostilità e la persecuzione, magari proprio ad opera della stessa chiesa.
Uno spunto da
Florian Henckel Von Donnersmarck è un giovane regista tedesco vissuto nella Germania occidentale, anche se i suoi genitori erano fuggiti dalla Germania est. Nel film 'Le vite degli altri' traccia un quadro del regime poliziesco e di spionaggio della Germania est nel 1984, pochi anni prima della caduta del muro di Berlino, senza che nulla faccia trapelare l'ormai vicino tracollo del sistema. E' una denuncia profonda, lucida ma condotta con tratto delicato sugli aspetti più raffinati dei sistemi totalitari ed in particolare sul tentativo che essi operano - quelli del socialismo reale, ma ogni altro tipo di regime - di controllare e determinare in tutto la vita delle persone. La possibilità di movimento, la professione, ma più in radice il pensiero stesso. Il capitano Gerd Wiesler (interpretato da uno splendido Ulrich Muhe, recentemente scomparso) è un agente della Stasi, a Berlino est, la polizia che poteva contare su circa centomila dipendenti effettivi ed innumerevoli informatori. Wiesler è specializzato nella sorveglianza di personaggi sospettati dal regime e la sua vita si snoda in una fedeltà puntuale, nell'adempimento del suo compito come espressione della sua appartenenza al sistema politico. Il grigiore che segna gli atti e gli ambienti della sua vita è riflesso del sistema della DDR sotto il blocco sovietico. Uno dei settori del controllo è il soffocamento della possibilità di espressione degli artisti. Ed il capitano Wiesler viene incaricato dal suo superiore di controllare la vita di una coppia di artisti: l'autore teatrale Georg Dreyman (Sebastian Koch) e l'attrice Christa Maria Sieland (Martina Gedeck). Ma Wiesler non sa che il reale motivo dell'azione di controllo non è tanto la difesa del regime nei confronti dell'opera di artisti sovversivi e critici, piuttosto è la volontà di un importante ministro di avere Christa Maria disponibile, sbarazzandosi di Dreyman.
Non esiste un'azione violenta operata su questi artisti e sul loro ambiente. Piuttosto un'opera di controllo capillare e totale che sottopone al vaglio ogni parola ed ogni momento di intimità. Il grigiore dell'obbedienza militare e timorosa si scontra con la libertà, fino a provocare il suicidio di qualcuno tra loro nell'impossibilità di avere spazi per la propria espressione e per la propria ansia di libertà.
Ed è proprio durante l'opera di minuzioso e puntuale controllo che Wiesler scopre come nell'ambiente dell'arte e della cultura sia possibile coltivare uno spirito critico. Pur senza avere contatti diretti ma nell'ascolto e registrazione delle microspie collocate in casa Dreymand, scopre di commuoversi di fronte ad una poesia di Bertolt Brecht e ascoltando la musica di Beethoven. Scopre la passione e la libertà dell'amore al di là dell'ideologia. Perde la fiducia nel sistema e nel regime di cui è una pedina e soprattutto scopre che la vita è 'altro', e nella vita percepita d'ora in poi in modo del tutto diverso scopre l'orizzonte sconfinato delle 'vite degli altri': ciò che è importante nella sua stessa vita a questo punto diviene meno importante e può giocare in perdita. Il film è così il lento accompagnamento a seguire un itinerario di scoperta di una felicità inattesa e improgrammabile, generata dalla crisi nell'incontro 'le vite degli altri', dal loro ascolto e dalla capacità di scelte libere contro un sistema di controllo e di spersonalizzazione.
Dalla Parola alla vita
Come un albero piantato lungo un corso d'acqua...
"L'azione morale non è adesione ad un sistema di pensiero o l'acquisizione di una tecnica, è gravitare personalmente nel mondo di Dio, lasciarsi conformare da Lui; assecondarne la mozione, crescere nella disponibilità all'ascolto; nella decisione di orientare la propria via secondo gli indicativi che accoglie da Lui…" (Dalmazio Mongillo)
L'albero piantato lungo il fiume è una potente immagine che rinvia all'assoluta importanza di quell'acqua che sgorga, ma nel contempo concentra l'attenzione sulla vita dell'albero che non è un fiume, ma da quell'acqua trae nutrimento indispensabile per una vita nuova in cui il dono dell'acqua opera, trasformando, una fecondità inattesa.
Molto spesso oggi i vari aspetti di concretizzazione della vita credente, le cosiddette questioni 'morali', sono percepite come una sorta di adesione ad una norma stabilita dall'autorità ecclesiastica, che non si espone ad interrogativi e discussione, oppure come riferimento solamente ad alcuni ambiti che sembrano gli unici non negoziabili e caratterizzanti la vita del cristiano. Ma la questione della vita morale ha un orizzonte ben più profondo, è questione di relazione che si radica nel dono del credere, dello sperare e dell'amare. E' accogliere che la propria vita sia presa nella fecondità che proviene dalla grazia di Cristo, dalla sua benedizione sulla vita e sulla nostra storia, richiede non l'esecuzione di indicazioni o l'imitazione di altri, ma il divenire persone libere capaci di scelte responsabili, nella libertà in relazione di tutti coloro che sono in cammino per divenire liberi. Una vita nell'orizzonte delle beatitudini diviene così un percorso che coinvolge pienamente la libertà e la responsabilità.
"E' il mistero della fecondità che in Gesù Cristo è partecipato nella 'novità' della condizione originante. Dio è fecondo di fecondità, crea persone che generano persone. Segno della sua benedizione, della sua presenza, sempre e dovunque, è la creatività che fonda, ispira, creatività; intelligenza che accresce capacità di pensare; pienezza di essere che irradia pienezza; armonia vissuta che promuove convergenza di energie. Più la persona è se stessa, più partecipa dell'esemplarità di Dio, più cresce nel desiderio che, innestato in Dio, diventa fecondo della fecondità stessa di Dio. Egli si partecipa nei singoli perché si partecipa nell'umanità in cui hanno pienezza di irradiazione e di comunione. Cristo è il sacramento della fecondità di Dio. In lui ciascun essere umano entra nella famiglia di Dio, diventa proteso alla pienezza dell'essere, aperto alla comunione con le libertà che stanno diventando libere". (D.Mongillo, Sacramenti e vita morale, in L.Lorenzetti (ed.) Trattato di etica teologica, vol 2: L'uomo in relazione, Bologna Dehoniane 1982,129-254, qui 206)
Tale cammino di vita morale non è questione di isolati, non è un percorso di eroi, né si connota come una battaglia in cui concepirsi come nuovi crociati della fede. Spesso l'attitudine di tanti che proclamano i loro essere cristiani senza esserlo appare quella di crociati. Il cristiano si sa in cammino, ed in una cammino solidale nella fatica e nella impossibilità di portare giudizi apodittici e definitivi sulle scelte altrui, spesso segnate da fatiche e sofferenze nascoste che non si conoscono. I cristiani che cercano di imparare a credere ogni giorno si percepiscono 'segnati dalla croce' che vivono l'accoglienza e la costruzione del regno insieme agli altri ogni giorno, sono protesi a far sì che ognun possa scoprire quella immagine autentica di sé a cui è chiamato, in una relazione che fa percepire come il senso del nostro essere è nell'orizzonte della comunione: "La costruzione del regno di Dio non è attività di isolati. La famiglia del popolo di Dio è una famiglia di famiglie… Molti presumono di dirigere lo Spirito, vogliono fare gli altri a propria immagine, anziché stimolare ognuno a diventare quella immagine che il Padre chiama ad essere. I crismati devono agire nella comunità affinché diventi comunione di giustizia e fratellanza e viva il coraggio di promuovere la giustizia e l'amicizia nell'umanità, contrastando lo stile del potere egemonico che emargina i poveri e i deboli e assecondando la via seguita da Gesù Cristo nella realizzazione della sua missione". (ibid., 164).
Alessandro Cortesi op