6-3-2011 - IX Domenica del tempo ordinario - Anno A
Deut 9,18-28; Sal 30; Rom 3,21-28; Mt 7,21-27
Omelia
“Porrete nel cuore e nell’anima queste mie parole; ve le legherete alla mano come un segno e le terrete come pendaglio tra gli occhi”
Legarsi le parole di Dio alla mano: un gesto che ricorda come la Parola giunge all’agire concreto di cui la mano è simbolo. Tenere le parole davanti agli occhi è ancora segno per ricordare che la parola è misura e criterio di quel vedere che proviene dagli occhi. Gli occhi vedono e orientano, così la Parola aiuta a vedere in profondità la vita e a orientare le scelte. Ma l’invito centrale è porre le parole nel cuore. Il cuore, centro delle scelte e degli orientamenti fondamentali della vita, luogo della coscienza di una persona. Le parole di Dio devono farsi uno con lo spirito di vita che fa vivere tutta la persona nei movimenti della sua interiorità e del suo agire, nella concretezza di scelte, gesti, parole.
Il gesto dei pii ebrei che si legano materialmente i ‘tefillim’ al braccio e alla testa con le piccole teche che contengono passi della Scrittura è una osservanza assai evocativa e dal forte impatto visivo. Tuttavia l’invito a legarsi le parole nel cuore e nell’anima non può risolversi in gesti e riti, o meglio dovrebbe attuarsi in quella liturgia che è la vita nel suo farsi ordinario. La questione di fondo sta nel realizzare, con o senza aiuto di segni esteriori, il senso profondo della metafora del ‘porre’ e ‘legare’ che questo testo propone. Legarsi le parole di Dio alle mani, porle nel cuore, tenerle davanti agli occhi è invito a vivere un’esistenza plasmata dalla Parola di Dio.
Prima ancora di essere invito all’esecuzione di comportamenti coerenti, sta racchiusa in queste immagini la dimensione dell’ascolto e del ricordo. Porre le parole nel cuore è lasciare spazio nel profondo della propria persona ad una relazione in cui Dio è percepito come una presenza che si comunica e si rende vicina nel dinamismo della parola. La parola che è comunicazione, testimonianza, amore, ponte di relazione.
Aprirsi e lasciare spazio a questa prima parola, la parola dell’incontro, il riconoscimento di Dio presenza personale e vivente nella nostra esistenza, è la grande proposta al cuore del libro del Deuteronomio. Tutta la legge si racchiude in un unico comandamento: "Amerai Jahwè tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze" (Dt 6,5). La prima grande parola è la parola dell’amore: amerai. Questa parola apre ad un legame fondamentale da accogliere nella vita: "porrete nell'anima e nel cuore queste mie parole; ve le legherete alla mano come un segno". Segno che rammemora e rinvia ad un volto, segno che spinge a muoversi e ad inoltrarsi nell’avventura dell’incontro. La memoria delle parole di Dio, apre ad una prospettiva di futuro, ad intendere la vita come luogo visitato, come cammino da compiere nella forza di una compagnia che tocca il cuore e lo cambia. La via da seguire che si connota come appello offerto alla libertà è la via dell'ascolto della memoria, di un legame che si rinnova, ed è via di benedizione.
“Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica sarà simile ad un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia”
Matteo propone un passaggio decisivo per la comunità cristiana: l’ascolto delle parole del Signore non può rimanere una conoscenza asettica, intellettuale, che non coinvolge la vita, è piuttosto entrare in una relazione con Gesù. Lasciare che sia lui a cambiare l’esistenza e a generare un modo di vivere nuovo. Di fronte a Gesù si è chiamati ad entrare in un cammino in cui rimane sempre il pensiero di non aver fatto abbastanza. La presunzione di chi pretende e dice ‘Signore Signore’ viene in tal modo presentata come l’atteggiamento da evitare. Non la presunzione ma l’attenzione ad una concretezza di scelte che siano in gradi di comunicare non tanto con le parole, che rischiano sempre di rimanere vuote, ma con la vita. In questo brano è quasi anticipata la scena del giudizio del re 'alla fine dei tempi' che Matteo presenterà al cap. 25 del suo vangelo: non chi dice 'Signore Signore’ entrerà nel regno dei cieli, ma chi agisce secondo la volontà del Padre. Infatti "Molti mi diranno in quel giorno: Signore Signore…". Il criterio su cui la nostra vita trova stabilità è quello del 'compiere la volontà del Padre'. Questa è la roccia su cui costruire la casa. Non è un discorso teso a far cadere in una religione della paura e dello scrupolo. Piuttosto un invito a cogliere la preziosità del tempo, l'importanza di un ascolto autentico vita, di 'costruire' la propria esistenza su ciò che è saldo, su di un rapporto di vita.
Dalla Parola alla preghiera
Donaci Signore l’attitudine di chi cerca di vivere la coerenza di fronte alla tua Parola non con la presunzione di chi giudica gli altri, ma con l’umiltà di chi sa che la vita è cammino e che non abbiamo mai vissuto abbastanza quanto tu ci chiedi…
Aiutaci a fare spazio concreto nella nostre giornate all’ascolto della tua Parola, alla frequentazione delle Scritture, alla preghiera e alla riflessione nella lettura dei segni dei tempi…
Fa Signore che la nostra vita sia orientata ad essere benedizione nell’accogliere la tua parola e a divenire benedizione per gli altri nelle occasioni quotidiane
La Parola dei Padri
“Confido nell’abbondanza della tua misericordia, o Cristo salvatore, e nel sangue del tuo fianco divino, col quale hai santificato la natura dei mortali e hai aperto a quanti ti servono, o buono, le porte del paradiso, chiuse un tempo da Adamo (…) Guida di sapienza, elargitore di prudenza, educatore degli stolti e protettore dei poveri, conferma, ammaestra il mio cuore, dammi tu una parola, o Parola del Padre, poiché ecco, io non trattengo le mie labbra dal gridare: O misericordioso, abbi misericordia di colui che ha prevaricato”
(dal canone della IV domenica prequaresimale delle Chiese orientali, domenica dei Latticini, cfr. Manuel Nin , Dammi tu una parola, o Parola del Padre, “Osservatore Romano 27.02.2011, 6)
Uno spunto da
Francesco Guccini nella sua canzone ‘Parole’ (http://www.youtube.com/watch?v=ef0mcwSwmNQ) accompagna a smascherare la vacuità di tante parole e di chiacchere. E il pensiero va a molte parole che sono vuota retorica a cui non corrisponde la vita ed il coinvolgimento con quanto si dice.
Parole, son parole, e quante mai ne ho adoperate
e quante ancora lette e poi sentite,
a raffica, trasmesse, a mano tesa, sussurrate,
sputate, a tanti giri, riverite,
adatte alla mattina, messe in abito da sera,
all' osteria citabili o a Cortina e o a Marghera.
Con gioia di parole ci riempiamo le mascelle
e in aria le facciamo rimbalzare
e se le cento usate sono in fondo sempre quelle
non è importante poi comunicare,
è come l' uomo solo che fischietta dal terrore
e vuole nel silenzio udire un suono, far rumore.
(…)
E le chiacchiere son tante e se ne fan continuamente,
è tanto bello dar fiato alle trombe
o il vino o robe esotiche rimbomban nella mente,
esplodono parole come bombe,
pillacchere di fango, poesie dette sulla sedia,
ghirlande di semantica e gran tango dei mass-media.
Dibattito in diretta, miti, spot, ex-cineforum,
talk-show, magazine, trend, poi T.V. e radio,
telegiornale, spazi, nuovo, gadget, pista, quorum,
dietrismo, le tangenti, rock e stadio
deviati, bombe, agenti, buco e forza del destino,
scazzato, paranoia e gran minestra dello spino.
Amore fino, lo so che in questo modo cerco guai,
ma non sopporto questi parolai, non dire più che ci son dentro anch' io,
amore mio, se il gioco è essere furbo e intelligente
ti voglio presentare della gente e certamente presto capirai...
Ci sono, sai, nascosti dietro a pieghe di risate
che tiran giù i palazzi dei coglioni,
più sobri e più discreti e che fan meno puttanate
di me che scrivo in rima le canzoni,
i clown senza illusione, fucilati ad ogni muro,
se stan così le cose dei buffoni sia il futuro.
Dalla Parola alla vita
Quale tristezza nel mettere a confronto due modi di leggere la realtà italiana che stiamo vivendo, cogliendo il contrasto e la diversità di giudizio e di valutazione: la prima da parte di un vescovo, la seconda da parte di una comunità, che esprime sconcerto, reazione ma anche senso di tradimento da parte dei pastori, sentimenti che vanno diffondendosi - anche se non trovano spesso modo di esprimersi pubblicamente - e sono vissuti in modo sofferto da parte di chi ama profondamente la chiesa e proprio per questo più acutamente avverte l’allontanamento da una testimonianza disinteressata e profetica che oggi sarebbe così importante.
In un’intervista a “La Stampa” del 28 febbraio 2011, curata da Giacomo Galeazza il vescovo di San Marino- Montefeltro, Luigi Negri, legato a CL, esponente di primo piano della Cei e presidente della fondazione per il Magistero sociale della Chiesa così risponde alle domande:
Si aspetta più impegno del governo sui temi cari alla Chiesa? «Ci sono margini per un’azione più incisiva dei cattolici nella vita pubblica. La democrazia non si fa con l’ingegneria costituzionale. Manca un rapporto equilibrato tra la politica e un apparato giudiziario autoreferenziale e indipendente nei suoi atti. Le priorità sono la salvaguardia della vita dal concepimento alla fine naturale, della famiglia eterosessuale (l’unica feconda), della possibilità per la Chiesa di svolgere l’azione formativa e culturale tra la gente». Non imbarazzano gli scandali del premier? «Se esistono reati tocca alla legge stabilirlo, è inammissibile condannare a priori. Un politico è più o meno apprezzabile moralmente in base a quanto si impegna a vantaggio del bene comune, cioè di un popolo che viva bene e di una Chiesa che operi in piena libertà. Non è edificante sentir evocare anche in ambienti cattolici l’indignazione, il disprezzo, l’odio verso l’avversario politico. A far male alla società sono i Dico, la legislazione laicista, la moralità teorizzata e praticata da quanti ci inondano di chiacchiere sulla rilevanza pubblica di taluni comportamenti privati».
Di tutt’altro tenore questa lettera dalla comunità cristiana di base del Villaggio Artigiano di Modena nel febbraio 2011” indirizzata al vescovo dal titolo “Abbiamo bisogno di sentire l’eco delle parole di Gesù nelle parole dei Vescovi!”. E’ un testo che aiuta a pensare con parole che provengono da una sofferenza diffusa e condivisa in tante comunità e persone che avvertono il disorientamento nell’attuale situazione italiana, non solo in considerazione della vita pubblica ma anche in rapporto alle prese di posizione esplicite e ai tanti silenzi dei vescovi.
“Caro vescovo Antonio, siamo un gruppo di cristiani della Chiesa di Modena e ci rivolgiamo a lei perché è il nostro pastore. Sappiamo che il suo ruolo e il suo ministero è proprio quello di ascoltare, confortare, tenere unito il gregge, cioè guidare il popolo cristiano e aiutarlo a vivere nella fede, nella speranza e nella carità. Vogliamo quindi esprimerle alcune nostre gravi preoccupazioni, con semplicità ma anche con tutta franchezza.
- Siamo preoccupati perché vediamo il nostro Paese scivolare sempre più in una crisi generale, vissuta da molti con disperazione e senza vie d’uscita, crisi che rischia di compromettere l’unità stessa della Nazione, nei suoi aspetti istituzionali, politici e sociali. E la disperazione non è una virtù cristiana.
- Siamo sconvolti perché vediamo la classe politica che governa questo paese sprofondare sempre più nel degrado morale, nell’arroganza dell’impunità, nella ricerca del tornaconto personale e dei propri amici, nel saccheggio della cosa pubblica e nella distruzione sistematica delle basi stesse del vivere civile e democratico.
la preoccupazione maggiore, in quanto credenti, riguarda la nostra Chiesa e in particolare i nostri Vescovi. Ecco i pensieri che ci fanno star male e che manifestiamo a cuore aperto.
Occorre che ci si renda conto davvero che alla base della Chiesa sta aumentando il disagio, il dissenso, la sofferenza, il lento e silenzioso abbandono. L’amara sensazione di molti, giusta o sbagliata, è che i pastori hanno tradito il loro gregge, hanno preferito i morbidi palazzi di Erode alla grotta di Betlemme, hanno colpevolmente rinunciato alla profezia. E questo non fidarsi di Dio, tecnicamente, è un comportamento ateo.
Avanziamo una piccola proposta, che può sembrare provocatoria, della quale lei stesso potrebbe farsi portavoce: la CEI e il Vaticano dichiarino pubblicamente di rinunciare all’esenzione del pagamento dell’ICI sulle proprietà della Chiesa che siano fonti di reddito; che abbiano il coraggio di dire di no a questa proposta scellerata. Acquisterebbero un po’ di stima e credibilità, perché questo, fra i tanti, è uno scandalo che grida vendetta.
Caro vescovo Antonio, preghiamo insieme perché lo Spirito ci aiuti tutti a una vera conversione, a un saper ritornare sui nostri passi, a riscoprire la dimensione di un servizio povero e disinteressato, a seminare gioia e bellezza e speranza, nella libertà e nella verità”.
Conforta l’esperienza dei martiri del nostro tempo: Shahbaz Batti era maestro di scuola elementare, profondamente credente, cattolico, ha dedicato la sua vita alla difesa delle comunità emarginate e alle minoranze religiose in Pakistan, co-fondatore e direttore dell’APMA (All Pakistan Minorities Alliance). Una vita segnata, come risalta in questa sua diretta testimonianza, dalla Parola del vangelo accolta nella sua esistenza. E’ stato ucciso il 1 marzo u.s. a Islamabad in un agguato.
Alessandro Cortesi op