23-10-2011 - XXX Domenica del tempo ordinario - Anno A
Es 22,20-26; Sal 17; 1Tess 1,5c-10; Mt 22,34-40
Omelia
"Così dice il Signore: non molesterai il forestiero né lo opprimerai perché voi siete stati forestieri in terra d'Egitto. Non maltratterai la vedova o l'orfano..."
In questa pagina sono riportate alcune prescrizioni della più antica legge, il codice dell’alleanza. Tutta la legge in Israele ha come obiettivo il risvegliare le dimensioni più profonde del cuore umano, in una parola alcuni grandi orizzonti di umanità a cui tutti siamo chiamati. Restituire al povero il suo mantello prima che scenda la notte è un gesto che dice compassione prima di qualsiasi altra valutazione. Anche se è un debitore prima di tutto è un uomo e questo gesto è manifestazione del tener conto che altrimenti egli non potrà dormire. Pur dovendo pagare un debito è un volto da accogliere, in cui riconoscere le necessità fondamentali, da trattare con umanità.
Così il non opprimere lo straniero è indicazione per considerare che lo straniero è un uomo in condizione di difficoltà e di povertà. Il volto dello straniero diviene nella legge d’Israele il luogo di una duplice memoria. E’ memoria innanzitutto della propria identità: anche Israele è stato schiavo e straniero in Egitto. Lì, nella condizione della schiavitù ha scoperto la presenza di un Dio vicino che ascolta il grido di chi è oppresso, si china sul povero e ama lo straniero. Per questo il volto dello straniero è memoria delle proprie radici e della propria storia per Israele, ma anche memoria per ogni comunità umana. Ed è così appello a vivere il medesimo agire che Dio ha compiuto verso il popolo povero e straniero. Ma lo straniero è anche memoria di Dio stesso: il suo volto ricorda che Dio non è un possesso di qualcuno ed il rapporto con Lui passa attraverso l’ospitalità nei confronti dell’altro. Dio ama lo straniero. Credere in Lui comporta assumere nella propria esistenza l’orientamento del suo agire: Dio difende coloro che non hanno appoggi e sicurezze, la vedova l’orfano e il forestiero. Così amare Dio si concretizza nella cura per l’altro, per chi è più debole. Non c’è contrapposizione o differenza tra amare Dio e amare l’altro, nella gratuità del dono di sè. Sta qui uno degli aspetti più profondi della spiritualità ebraica che Gesù accoglie e porta a radicalità: ed è anche uno tra gli aspetti meno compresi quando si oppone amore di Dio e amore dell’uomo.
"voi avete seguito il nostro esempio e quello del Signore, avendo accolto la Parola in mezzo a grandi prove, con la gioia dello Spirito santo, così da diventare modello per tutti i credenti della Macedonia e dell'Acaia"
Paolo scrive alla comunità di Tessalonica e ne loda la fede, anche se è una comunità in cammino, con tante fatiche e dubbi. Loda questo piccolo gruppo di persone, che riconosce come chiesa di Dio presente in quella città, perché affrontano le prove ponendo al centro della loro vita la Parola di Dio e l’hanno accolta con quella gioia che viene dallo Spirito. L’esperienza della piccola comunità di Tessalonica presenta un paradosso: nella prova trova la possibilità di una gioia che non è spensieratezza ma serenità profonda, affidamento all’operare dello Spirito nei cuori. E’ una comunità in cammino che sta seguendo l’esempio di Paolo e quello del Signore Gesù. Poche parole queste che offrono alcune pennellate sull’essenziale della vita di una comunità cristiana, al di là di tanti orpelli ed elementi che forse sono un sovrappiù, o addirittura distolgono da ciò che più conta: seguire Gesù, il suo esempio, e lasciarsi cambiare dall’esperienza dello Spirito.
"Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente... il secondo poi è simile al primo Amerai il prossimo tuo come te stesso"
Gesù è ancora interrogato da chi non intende avvicinarsi a lui per ascoltarlo, ma per metterlo alla prova. Questa volta si tratta di uno scriba. La domanda verte sul 'grande comandamento'. E' una sfida perché Gesù prenda posizione a favore o contro nel dibattito tra scuole religiose, nelle quali il dibattito sembra essere fine a se stesso e non cambia la vita. Gesù non si sottrae, ma anziché parlare di un comandamento ne indica due; pone insieme due comandamenti che già erano presenti nella tradizione ebraica. Amare Dio con tutto il cuore è il primo, ma ce n'è un secondo 'simile al primo'. La sua parola riporta la questione dai dibattiti di scuola alla dimensione della vita. E forse si può anche intravedere tra le righe come egli indichi anche un terzo comandamento, perché per amare il prossimo è necessario passare attraverso una giusta comprensione di cosa significhi 'amare se stessi': "amerai il prossimo come te stesso". C'è un 'come' che porta a guardare dentro se stessi, scoprendo che la nostra più profonda identità è apertura all’incontro e alla relazione. Amando gli altri si fiorisce nelle dimensioni più profonde del proprio essere si ama anche se stessi e così l’attenzione a sé apre al dono e al servizio.
Al primo posto sta il rivolgersi a Dio con una attitudine particolare: c'è una totalità di coinvolgimento che è richiesta: 'con tutto il tuo cuore'. Non solo alcuni settori marginali della vita. Incontrare Dio significa metterlo al centro della vita, riferimento delle scelte in tutti i momenti. Negli aspetti quotidiani e ordinari della vita. E’ un cammino, un orientamento della vita che non è mai raggiunto completamente e sempre si apre ad un di più.
Ma il problema è anche: quale Dio amare con tutto il cuore? Amare Dio che non vedi si attua nell’amare il prossimo che vedi. Si verifica quindi nella cura e nell'attenzione concreta e situata per qualcuno, con il suo volto, con la sua storia. Amare Dio non è cosa lontana lassù in cielo, ma incontra la nostra quotidianità, si fa orientamento di vita sulla terra: non c’è amore di Dio che non passa per l’amore all’altro. Gesù porta a considerare che Dio da amare è il Padre che ha cura e compassione delle persone nella loro individualità e concretezza. Ogni persona che si china sull’altro, chi dedica tempo fatiche competenze per i piccoli e i poveri, chi cerca di costruire una storia di pace, ha un cuore aperto a quell’amore di Dio che si verifica nell’amore per l’altro considerato non nemico ma prossimo.
Dalla Parola alla preghiera
Donaci Signore di vivere tutti i momenti e tutte le situazioni con un cuore capace di attenzione e compassione verso gli altri
In un tempo segnato dall’incrociarsi di popoli e culture e dalla presenza di stranieri nelle nostre città, donaci Signore di essere aperti alla cura e all’attenzione soprattutto verso gli stranieri poveri
Fa’ crescere in noi Signore la passione e l’impegno per costruire comunità, anche laddove è difficile e dove sembra non ci sia speranza
Fa che il nostro amore sia concreto e fattivo: donaci di amare te con tutto il cuore nello spenderci per gli altri, guidaci a crescere in un amore che sappia rispettare gli altri e li faccia sentire accolti.
La Parola dei Padri
“Quando infatti egli dice: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza" (Mc 12,30), vuole che mai ci sciogliamo dai vincoli del suo amore. E quando con questo precetto del prossimo (cfr. Mc 12,31 ss.) congiunge strettamente la carità, ci prescrive l’imitazione della sua bontà, affinché amiamo ciò che egli ama, e ci occupiamo di ciò di cui egli si occupa. Sebbene infatti siamo "il campo di Dio e l’edificio di Dio" (1Cor 3,9), e "ne chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere" (1Cor 3,7), tuttavia esige in tutto il servizio del nostro ministero, e vuole che siamo dispensatori dei suoi doni, affinché colui che porta "l’immagine di Dio" (cf. Gen 1,27), faccia la sua volontà”.
(Leone Magno, Tractatus 90,3-4)
Uno spunto da…
“I dati della questione morale rendono ardua e infuocata – rossa di vergogna o di collera – quella che Hegel chiamava la preghiera mattutina del cittadino, la lettura di giornali. Corruzione a tutti i livelli della vita economica, civile e politica. La pratica endemica degli scambi di favori a tutti i livelli: cariche pubbliche a figli e amanti, lo scambio di carriere politiche contro favori privati, i concorsi pubblici (quelli universitari per esempio) decisi sulla base di accordi fra gruppi di persone o cordate – quando non addirittura di parentele – e non su quella del merito., lo sfruttamento di risorse pubbliche a vantaggio di interessi privati, il familismo, il clientelismo, le caste, la diffusa mafiosità dei comportamenti, la vera e propria penetrazione delle mafie in tutto il tessuto economico e nelle istituzioni, la perdita stessa del senso delle istituzioni da parte dei governanti. La discesa in campo politico dell’interesse affaristico che si fa partito e prostituisce il nome di ‘libertà’ a indicare il disprezzo di ogni regola che possa frenare o limitare la libido di ‘un potere enorme’ – letteralmente e-norme, sottratto a ogni norma di civiltà e diritto. (…) E infine una sorprendente maggioranza degli italiani che approva, sostiene e nutre questa impresa, e collabora passivamente e attivamente a dissipare, insieme, la migliore eredità morale e civile e il patrimonio di bellezza e cultura del nostro Paese. Ciliegina sulla triste torta, l’alleanza delle gerarchie ecclesiastiche romane e di molto associazionismo cattolico con questo programma di disgregazione di ogni minima virtù di cittadinanza …” (pp.11-12)
Il quadro descritto da Roberta De Monticelli della situazione sociale del nostro Paese è realistico, crudo e sconfortante. Nel suo libro La questione morale (ed. Raffaello Cortina 2010) non si limita a tratteggiare il quadro desolante della condizione morale attuale dell’Italia. Ne ricerca le radici; si addentra nell’individuare quell’attitudine che caratterizza lo spirito degli italiani e che venne presentata da un grande classico, Francesco Guicciardini, nei suoi Ricordi. Guicciardini elencando una serie di realistici precetti – il farsi amici dei potenti, attuare la doppiezza, dare risposte sempre generiche, fare ogni cosa per apparire solamente, proclamare bugie anche insostentibili con la fiducia che a forza di ripeterle diventino verità - descrive un codice che vede il suo fondamento sull’interesse ‘particulare’, su quel cinismo che denota l’incapacità di passare dalla condizione di sudditi a quella di cittadini e di uscire da uno stato di minorità. Tre secoli dopo Giacomo Leopardi nel suo Discorso sopra lo stato presente de’ costumi degli italiani, del 1824, descrive uno stile di vita segnato dall’indifferenza e da “un pieno e continuo cinismo d’animo, di pensiero… dove il più savio partito è quello di ridere indistintamente d’ogni cosa e di ognuno, incominciando da se medesimo” (cit. p. 40). Uno sguardo sull’oggi riporta a considerazioni analoghe.
La De Monticelli osserva come l’individualità adulta si contrappone ad un concetto di individuo e di morale utilizzati oggi come concetti da rigettare e disprezzati come individualismo e moralismo. Scrive infatti: “… l’individualità delle persone moralmente adulte non solo non si oppone affatto, ma è fondamento e perno dell’universalità delle leggi e in particolare dell’universalità del dovere morale, che è il dovuto da ciascuno a tutti. Invece il ‘particulare’… - la diffusa volontà di partecipare al privilegio, all’eccezione, al favoritismo – si oppone precisamente all’approfondimento della propria responsabilità individuale nei confronti di tutti. L’uomo del particolare sembra destinato alla minorità morale e civile” (p. 55).
Il saggio si inoltra così alla ricerca di un approfondimento della questione morale, non solo con sguardo alla storia italiana, ma nella considerazione del pensiero europeo del ‘900. In questa impegnativa parte del saggio, in vari autori e correnti filosofiche è riscontrata la linea di uno scetticismo pratico che innerva oggi la vita politica del nostro Paese. La domanda fondamentale che percorre la ricerca è se ci si debba piegare ad una sorta di scetticismo nell’ambito della questione morale, nella ricerca di un fondamento alle scelte relative alla ragione pratica, oppure se una via diversa sia possibile e sia da percorrere. Nel saggio si contrasta la visione che scinde questione etica e questione politica per cui l’etica è etica e la politica è politica e chi si pone in un orizzonte di giustizia e moralità deve entrare in monastero ma non fare politica. La questione morale infatti diviene questione politica nell’indicazione di percorsi di convivenza ed è possibile ‘tornare a respirare’ se si intraprende la via di una riscoperta della autonomia morale - ben diversa dalla logica del particolare – nella prospettiva di una vita che faccia emergere l’identità più profonda di una persona nel suo agire, nello fatica della scelta e della responsabilità. Sono così offerti così alcuni orientamenti: “la minorità, e anche l’imbarbarimento morale e civile si combattono risvegliando le coscienze alla serietà dell’esperienza morale, che in ogni individuo deve rinnovarsi, cioè farsi esperienza sempre nuova delle scoperte sulle quali la nostra società si è edificata, pena l’imbarbarimento” (p.180). La linea che la De Monticelli suggerisce è una ripresa della via esigente suggerita da Socrate che guidava a chiedersi ‘perché’ e provocava ad un percorso non per via di autorità, ma per via di scoperta interiore e di giustificazione delle proprie scelte davanti agli altri. Socrate richiama come fonte della morale non è la tradizione la religione o il mito ma la reazione di fronte al male che si percepisce, di fronte ai torti subiti, o percepiti nelle vittime del male. “Spetta a ciascuno di noi riprendere, anche nel vasto regno dell’etica, del diritto, della politica – la via di Socrate. Quello che il nostro triste presente ci insegna, è che delle personalità morali in definitiva, una comunità può fare a meno. Con la banalità del male cresce la banalità della chiacchera quotidiana, del ‘pensiero’ che riesce a imporsi ai media, perfino la banalità del dissenso, dell’opposizione politica. La fondazione della civiltà sulla coscienza e ragionevolezza degli individui liberi e responsabili è cosa recente – e fragilissima. Non c’era ancora ai tempi del Guicciardini – e se continuiamo in questo modo potrà non esserci più, nella nostra tarda e sconfitta modernità” (p.186).
Le pagine di questo testo invitano a riflettere innanzitutto sulla serietà della nostra esperienza morale in quanto la nostra coscienza è aperta al vero, e per questo anche può e deve rinnovarsi correggersi e crescere. E in secondo luogo la ricerca di norme per la vita di cittadini e non di sudditi non può derivare da tradizione, da autorità religiose e tanto meno dalla forza, ma si pone come esigenza di rinnovamento morale delle persone che si ponga nello spazio dei meccanismi di una democrazia costituzionale.
Dalla Parola alla vita
E’ una notizia minore di fronte alle tante che coprono le prime pagine dei giornali eppure parla dell’unità di amore di Dio e del prossimo, parla della testimonianza di chi non appare ma vive il quotidiano come preparazione del regno:
“Se c’è un tratto, infatti, che colpiva di padre Fausto è proprio la «semplicità evangelica» di cui parla Benedetto XVI. Da buon brianzolo, era un uomo concreto: non amava mettersi in mostra, per lui l’importante era mostrare, con le opere più che con le parole, che un’autentica liberazione dall’oppressione è possibile, per chi si mette alla scuola del Vangelo.
Aveva trovato nell’Arakan Valley, una località sperduta di Mindanao, il luogo dove testimoniare la sua passione per Cristo e dove provare a costruire una risposta evangelicamente alternativa all’economia dello sfruttamento e dell’ingordigia.
Dopo lunghi anni di servizio gomito a gomito con i tribali del luogo, era riuscito a formare e organizzare le piccole comunità manobo, disperse tra colline e montagne. Sapeva bene che tale impegno significava dare fastidio. Il suo anziano confratello Peter Geremia – che per anni si è dedicato alla causa dei tribali, sfidando anche autorità e tribunali – nel passargli il testimone l’aveva messo in guardia: perseguire la giustizia, in un contesto arroventato come quello, vuol dire fronteggiare interessi nemmeno troppo occulti, poteri davvero forti. E soprattutto passare, inevitabilmente, per guastafeste. Perché chi vorrebbe portar via le terre ancestrali ai loro legittimi possessori non va molto per il sottile, quando si tratta di raggiungere l’obiettivo”. (G.Fazzini, La semplicità evangelica che arriva fino al martirio, Avvenire 18 ottobre 2011)
“Fausto Tentorio aveva 59 anni, ed era originario di Santa Maria Hoé, presso Lecco, dove vivono ancora i familiari. Il fratello Felice lo ricorda con commozione: ’Ho chiesto ai suoi collaboratori quale poteva essere la spiegazione di un gesto tanto crudele. Mi hanno detto che non risultavano essere giunte minacce. Pensano che l'omicidio sia legato a vecchi rancori, dovuti al suo impegno a favore delle popolazioni locali. Fausto ha sempre difeso gli abitanti della zona dai latifondisti che volevano espropriare i terreni’. (…)
Nella zona di Arakan, sull’isola di Mindanao, vivono gli indigeni di etnia Lumad, in lotta per il riconoscimento dei loro diritti sulle terre ancestrali, che sono sotto costante attacco di compagnie minerarie quali l’anglo-svizzera Xstrata, interessate all’oro e altri metalli del sottosuolo. Padre Pops era per i Lumad un medico e un maestro di scuola, più ancora che un prete. Tutti lo ricordano per le battaglie condotte a viso aperto, senza paura di dire quello che pensava. ‘È chiaro che l’esercito governa questo Paese -disse l’anno scorso ad un convegno-. Finché le forze armate non si sottometteranno al governo civile, non ci sarà pace per le singole comunità’. Tentorio aveva messo il dito nella piaga della politica filippina. (…)
Chiesa dai due volti quella filippina. Arroccata ai piani alti intorno alla difesa di posizioni ultraconservatici nella sfera dei comportamenti privati e sociali. Ma schierata al fianco dei deboli attraverso l’azione di molti sacerdoti simili al missionario italiano assassinato ad Arakan”.
(G.Bertinetto, Padre Fausto ucciso dai killer nelle Filippine dei latifondisti, L’Unità 18 ottobre 2011)
Alessandro Cortesi op