Gen 15,1-6; 21,1-3; Sal 104; Eb 11,8.11-12.17-19; Lc 2,22-40
"Poi lo condusse fuori e gli disse: 'Guarda in cielo e conta le stelle se riesci a contarle' e soggiunse: 'tale sarà la tua discendenza'... Il Signore visitò Sara, come aveva detto, e fece a Sara come aveva promesso. Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio"
"Conta le stelle se riesci a contarle": con queste parole inizia una storia di fede che da evento personale diviene storia di un popolo. Abramo, già nel suo nome - che significa 'padre di molti' - reca il carattere di una comunità che in lui si identifica. Non è solamente la comunità che lo riconosce come antenato - seppure la figura stessa di Abramo sia in qualche modo un paradigma e un simbolo - ma anche di chi ritrova in lui il modello della fede. La sua vicenda infatti, insieme a quella dei patriarchi, è delineata come radice dell'esperienza di una fede vissuta insieme da una comunità in cammino.
La pagina si apre con l'annotazione sconsolata di Abramo: "Signore me ne vado senza figli e l'erede della mia casa è Eliezer di Damasco". In assenza di figli Abramo deve costituire erede dei suoi beni un suo maggiordomo. Ma la promessa inattesa di Dio, spalanca orizzonti inediti, è rinvio paradossale ad una moltitudine di persone, che da Abramo trarrà la sua radice: 'conta le stelle se riesci a contarle...".
Abramo è 'portato fuori' da tutto ciò che rinchiudeva la sua vita in un destino di morte ed è invitato ad alzare lo sguardo in alto al cielo, il 'luogo di Dio'. Le stelle innumerevoli, impossibili a contare, sono il segno di una promessa che sconvolge la sua vita e la apre ad un futuro di vita e di relazioni: il cielo stellato di notte, panorama incantevole del deserto, è la traccia della promessa aperta ad un'umanità plurale chiamata ad essere famiglia delle famiglie di tutta la terra.
"Abramo credette al Signore che glielo accreditò come giustizia". Paolo nella sua riflessione sulla vicenda di Abramo (Rom 4,13), sottolineerà come Abramo ebbe fede prima ancora che ci fosse il dono della legge e che quindi la salvezza è dono gratuito di Dio che precede ogni movimento umano. E' parola gratuita di Dio che chiama e chiede solamente di essere accolta nell'affidamento sincero della vita a lui. Abramo vive questo affidamento ed offre la sua disponibilità, partecipando alla giustizia/fedeltà di Dio. Risponde facendo spazio alla promessa di Dio nella sua esistenza. L'incontro nella fede è visita di Dio che reca e vita e porta fecondità: il Signore visitò Sara.
Non si può leggere questa pagina senza pensare alla questione della fede, a cosa significhi oggi per noi vivere ciò che è narrato come centro dell'esperienza di Abramo al di là di tanti aspetti del culto, dell'insegnamento, della struttura stessa delle comunità religiose, aspetti che possono far perdere di vista l'essenziale della vita credente, l'esperienza della fede. La Lettera agli Ebrei si sofferma a considerare la fede: "... per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava". Abramo accoglie nella propria vita una promessa che si rinnova: "per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare". La fede di un uomo che, pur segnato dalla morte, intraprende un cammino e parte ponendo la sua stabilità su Dio incontrato come presenza viva e vicina, sta alla radice di grandi esperienze religiose: la storia del popolo ebraico che riconosce in Abramo il padre della discendenza, il cammino della comunità cristiana, che vede in lui il 'padre nella fede', e la vicenda della comunità islamica che riconosce in Abramo 'el-khalil', l'amico di Dio. Non è forse questa famiglia di popoli, di tante lingue e religioni, la famiglia di Dio a cui guardare anche oggi accogliendo l'invito a percorrere gli itinerari dell'incontro in un affidamento nuovo al Dio della promessa? La promessa di Dio si rinnova nella storia ed è la sua chiamata che fa sorgere figli di Abramo. Non è infatti privilegio di pochi, ma dono aperto a chiunque nella sua vita si affida al Padre e alla sua forza creatrice: "...non illudetevi dicendo dentro di voi: noi abbiamo Abramo per padre. Vi dico che da queste pietre Dio può far sorgere figli di Abramo" (Mt 3,9).
"Il Signore si è sempre ricordato della sua alleanza, parola data per mille generazioni, dell'alleanza stabilita con Abramo e del suo giuramento ad Isacco".
Il salmo di questa liturgia si fa eco di questo messaggio. Alla discendenza di Abramo, alla sua famiglia fatta di popoli e famiglie diverse, è dato come compito il 'ricordare': "Ricordate le meraviglie che ha compiuto.. voi stirpe di Abramo suo servo". Fare memoria dell'agire di Dio, è riconoscere una storia visitata ed una fedeltà che non viene meno. C'è ancora una famiglia da costruire nella storia umana, c'è una discendenza, dono di Dio: i rapporti umani, della convivenza e dell'accoglienza, i legami della vita di famiglia sono elementi connessi indissolubilmente alla fede. Vivere la fede sulle orme di Abramo oggi è forse un appello ancora a partire, ad uscire dalle chiusure di una appartenenza religiosa pensata secondo modelli di sicurezza e di esclusione ed aprirsi alle nuove vie di una famiglia da accogliere e vivere come dono del Dio della promessa.
"Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio che aspettava la consolazione di Israele, e lo Spirito santo era su di lui"
Lo Spirito soffia con libertà e coinvolge la vita di Simeone. Tutta la narrazione delle due infanzie, del Battista e di Gesù, presentate da Luca come un dittico nei primi capitoli del suo vangelo, è popolata di anziani: Zaccaria, Elisabetta, Simeone, Anna... In questo mondo, carico di anni, c'è la vita che nasce. Ma questi anziani sono anche il simbolo di una storia che attende. Simeone è un anziano con un cuore aperto e attento: come Abramo si lascia muovere dallo Spirito e accoglie la novità della benedizione di Dio che lo raggiunge non nella grandiosità del tempio, ma nella debolezza di un bambino. Recandosi nel cuore del tempio riconosce nel bambino, che accoglie tra le sue braccia, la luce delle genti. Con il suo gesto ci dice che quella luce può essere accolta e nella nostra vita si può lasciare spazio all'agire dello Spirito, ad una promessa per tutti i popoli e le genti... una promessa ancora sulla famiglia di Dio.
Alessandro Cortesi op