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II domenica Avvento anno B
Is 40,1-5.9-11; Sal 84 (85); 2Pt 3,8-14; Mc 1,1-8
"Consolate, consolate il mio popolo... annuncia alle città di Giuda: Ecco il vostro Dio"
Con un invito, 'consolate...' inizia il libro (Is 40-55) situabile nel tempo in cui si sta concludendo l'esilio in Babilonia, alla metà del VI secolo, e che si richiama al profeta Isaia vissuto due secoli prima. L'invito alla consolazione è una delle chiavi di lettura di questo libro: è l'appello a far lasciar spazio alla speranza.
Per comprendere questo testo si deve cogliere la portata di devastazione e disorientamento religioso che l'esperienza dell'esilio portò con sé. Essa fece perdere tutti i riferimenti religiosi su cui Israele si basava: la terra innanzitutto e la città di Gerusalemme con la deportazione della parte più abbiente della popolazione in Babilonia; il tempio e le funzioni sacerdotali che vi ruotavano attorno; la monarchia, abolita perché l'impero babilonese aveva ridotto i popoli vicini alla sottomissione senza più identità politica e statale. Tutto ciò produce una profonda crisi riguardo alla presenza di Dio. Così la esprime il libro delle Lamentazioni, sottofondo su cui leggere le pagine del secondo Isaia: "Io sono l'uomo che ha provato la miseria sotto la sferza della sua ira. Egli mi ha guidato, mi ha fatto camminare nelle tenebre e non nella luce... Mi ha fatto abitare in luoghi tenebrosi come i morti da lungo tempo... E dico: 'E' sparita la mia gloria, la speranza che mi veniva dal Signore'" (Lam 3,1-18)
Dov'è Dio in questo tempo di oscurità e di contraddizione? Si fanno strada diverse risposte: c'è la maggioranza silenziosa che si adatta alla nuova situazione, fa propri gli idoli e lo stile di vita dei potenti e dei popoli dominanti nell'esilio. C'è poi il gruppo dei nostalgici del passato, di Zorobabele e del sommo sacerdote Giosuè: sono coloro che, quando Ciro consente il ritorno, vogliono a tutti i costi ricostruire il tempio, e ristabilire la monarchia. Il loro sguardo andava al passato da riproporre come ideale mitico e da riproporre tal quale. C'è poi il gruppo attorno a Esdra e Neemia, quello che ebbe maggior successo: da un lato intendono collaborare con il popolo straniero, dall'altro mirano a mantenere un'identità di purezza e differenza per quanti vivevano dispersi nel regno persiano. Insistono perciò sulle leggi dell'osservanza e impongono di evitare il contatto con altri popoli, coltivando la purezza etnica ed avversando i matrimoni misti. Gerusalemme diventa simbolo di unità per tutti.
Il secondo-Isaia è la voce collettiva di un quarto gruppo, un movimento che rimane ai margini. Non guardavano al passato con nostalgia, né accettavano passivamente il presente, ma si chiedevano: cosa vuol dire il Signore a noi in questa situazione in cui si percepisce l'assenza di Dio? In tale linea si colloca Geremia con i suoi discepoli ed il messaggio dei capp. 40-66 del libro di Isaia.
Questi credenti nelle antiche promesse operano una lettura del passato di Israele e così facendo si apre ad un nuovo modo di essere profeti. Rileggendo la vicenda di Abramo, il cammino dell'esodo, l'alleanza del Sinai, scoprono che Dio non ha abbandonato il suo popolo: nella storia c'è un disegno profondo di salvezza che faticosamente e pur nelle contraddizioni si fa strada. La storia continua e si sta attuando ora un nuovo esodo. Sta qui la grande intuizione alla base dell'invito: "Consolate, consolate il mio popolo... nel deserto preparate la via al Signore...". Essi riscoprono nella storia di Elia l'esperienza di un incontro con Dio in modo nuovo, nella 'voce di un leggero silenzio': là dove Dio sembra essere lontano e assente, lì sta facendo giungere una chiamata, e non viene meno al suo amore fedele. Il silenzio di Dio è anche un 'colpo' che risveglia e scuote alla consapevolezza di una realtà nuova. Esige occhi nuovi e un cambiamento radicale. Si apre per il popolo in esilio la possibilità di conoscere un nuovo volto di Dio, non il Dio del tempio, del culto, del potere politico, del territorio. Di tutto questo non c'era più nulla. L'esperienza della famiglia, della piccola comunità che era l'unica esperienza rimasta offriva la strada per aprirsi ad un volto di Dio inedito, che si faceva vicino nella convivenza quotidiana laddove nessuno lo aveva mai cercato, oltre i confini di territori stabiliti, fino alle 'isole più lontane', tra i poveri e gli emarginati.
Questo momento di crisi profonda e prolungata nel tempo apre i discepoli di Isaia a scoprire un nuovo modo di concepire la propria identità di credenti nel Dio nascosto, ad avvertire una chiamata che spalanca il cuore alla speranza: si avvertono chiamati a aprire gli occhi ai ciechi, a far uscire dal carcere i prigionieri (Is 42,6-8) ad essere 'alleanza'. La vita del credente - ci dice questa pagina del secondo Isaia - è un cammino in cui aprirsi sempre nuovamente ad incontrare un volto di Dio che non fa tornare indietro ad antiche sicurezze religiose, che rifugge dalle diverse forme storiche della religione civile, ma apre ad una missione di servizio.
"Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio..."
Marco è il primo autore di un 'vangelo'. Vangelo è bella notizia, annuncio di novità. Per Marco l'annuncio bello consiste nel fatto che Gesù è il Messia - questo significa il titolo 'Figlio di Dio' attribuito al re e al Messia -. Il vangelo è così innanzitutto non un libro, né un insegnamento, una dottrina o un codice, ma un evento e una persona: è Gesù. Gesù, dice Marco, si pone in continuità con quella linea di profetismo del secondo Isaia e nello stesso tempo costituisce una novità: la sua presenza è segno di una solidarietà di Dio nei confronti dell'umanità. Perciò è un nuovo 'inizio'.
Marco vede nelle parole e nell'azione del Battista il primo attuarsi di un grande raduno di tutti i popoli che apre i confini: la vicenda del Battista è tutta protesa verso Geù, sta nel richiamare l'attenzione verso di lui. Gesù viene 'dopo di lui', ma sarà Gesù - e questo è il grande 'annuncio bello' - a chiamare tutti a 'stare dietro' al suo cammino. E' il cammino del discepolo che Marco nel suo vangelo propone.
Alessandro Cortesi op
Is 40,1-5.9-11; Sal 84 (85); 2Pt 3,8-14; Mc 1,1-8
"Consolate, consolate il mio popolo... annuncia alle città di Giuda: Ecco il vostro Dio"
Con un invito, 'consolate...' inizia il libro (Is 40-55) situabile nel tempo in cui si sta concludendo l'esilio in Babilonia, alla metà del VI secolo, e che si richiama al profeta Isaia vissuto due secoli prima. L'invito alla consolazione è una delle chiavi di lettura di questo libro: è l'appello a far lasciar spazio alla speranza.
Per comprendere questo testo si deve cogliere la portata di devastazione e disorientamento religioso che l'esperienza dell'esilio portò con sé. Essa fece perdere tutti i riferimenti religiosi su cui Israele si basava: la terra innanzitutto e la città di Gerusalemme con la deportazione della parte più abbiente della popolazione in Babilonia; il tempio e le funzioni sacerdotali che vi ruotavano attorno; la monarchia, abolita perché l'impero babilonese aveva ridotto i popoli vicini alla sottomissione senza più identità politica e statale. Tutto ciò produce una profonda crisi riguardo alla presenza di Dio. Così la esprime il libro delle Lamentazioni, sottofondo su cui leggere le pagine del secondo Isaia: "Io sono l'uomo che ha provato la miseria sotto la sferza della sua ira. Egli mi ha guidato, mi ha fatto camminare nelle tenebre e non nella luce... Mi ha fatto abitare in luoghi tenebrosi come i morti da lungo tempo... E dico: 'E' sparita la mia gloria, la speranza che mi veniva dal Signore'" (Lam 3,1-18)
Dov'è Dio in questo tempo di oscurità e di contraddizione? Si fanno strada diverse risposte: c'è la maggioranza silenziosa che si adatta alla nuova situazione, fa propri gli idoli e lo stile di vita dei potenti e dei popoli dominanti nell'esilio. C'è poi il gruppo dei nostalgici del passato, di Zorobabele e del sommo sacerdote Giosuè: sono coloro che, quando Ciro consente il ritorno, vogliono a tutti i costi ricostruire il tempio, e ristabilire la monarchia. Il loro sguardo andava al passato da riproporre come ideale mitico e da riproporre tal quale. C'è poi il gruppo attorno a Esdra e Neemia, quello che ebbe maggior successo: da un lato intendono collaborare con il popolo straniero, dall'altro mirano a mantenere un'identità di purezza e differenza per quanti vivevano dispersi nel regno persiano. Insistono perciò sulle leggi dell'osservanza e impongono di evitare il contatto con altri popoli, coltivando la purezza etnica ed avversando i matrimoni misti. Gerusalemme diventa simbolo di unità per tutti.
Il secondo-Isaia è la voce collettiva di un quarto gruppo, un movimento che rimane ai margini. Non guardavano al passato con nostalgia, né accettavano passivamente il presente, ma si chiedevano: cosa vuol dire il Signore a noi in questa situazione in cui si percepisce l'assenza di Dio? In tale linea si colloca Geremia con i suoi discepoli ed il messaggio dei capp. 40-66 del libro di Isaia.
Questi credenti nelle antiche promesse operano una lettura del passato di Israele e così facendo si apre ad un nuovo modo di essere profeti. Rileggendo la vicenda di Abramo, il cammino dell'esodo, l'alleanza del Sinai, scoprono che Dio non ha abbandonato il suo popolo: nella storia c'è un disegno profondo di salvezza che faticosamente e pur nelle contraddizioni si fa strada. La storia continua e si sta attuando ora un nuovo esodo. Sta qui la grande intuizione alla base dell'invito: "Consolate, consolate il mio popolo... nel deserto preparate la via al Signore...". Essi riscoprono nella storia di Elia l'esperienza di un incontro con Dio in modo nuovo, nella 'voce di un leggero silenzio': là dove Dio sembra essere lontano e assente, lì sta facendo giungere una chiamata, e non viene meno al suo amore fedele. Il silenzio di Dio è anche un 'colpo' che risveglia e scuote alla consapevolezza di una realtà nuova. Esige occhi nuovi e un cambiamento radicale. Si apre per il popolo in esilio la possibilità di conoscere un nuovo volto di Dio, non il Dio del tempio, del culto, del potere politico, del territorio. Di tutto questo non c'era più nulla. L'esperienza della famiglia, della piccola comunità che era l'unica esperienza rimasta offriva la strada per aprirsi ad un volto di Dio inedito, che si faceva vicino nella convivenza quotidiana laddove nessuno lo aveva mai cercato, oltre i confini di territori stabiliti, fino alle 'isole più lontane', tra i poveri e gli emarginati.
Questo momento di crisi profonda e prolungata nel tempo apre i discepoli di Isaia a scoprire un nuovo modo di concepire la propria identità di credenti nel Dio nascosto, ad avvertire una chiamata che spalanca il cuore alla speranza: si avvertono chiamati a aprire gli occhi ai ciechi, a far uscire dal carcere i prigionieri (Is 42,6-8) ad essere 'alleanza'. La vita del credente - ci dice questa pagina del secondo Isaia - è un cammino in cui aprirsi sempre nuovamente ad incontrare un volto di Dio che non fa tornare indietro ad antiche sicurezze religiose, che rifugge dalle diverse forme storiche della religione civile, ma apre ad una missione di servizio.
"Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio..."
Marco è il primo autore di un 'vangelo'. Vangelo è bella notizia, annuncio di novità. Per Marco l'annuncio bello consiste nel fatto che Gesù è il Messia - questo significa il titolo 'Figlio di Dio' attribuito al re e al Messia -. Il vangelo è così innanzitutto non un libro, né un insegnamento, una dottrina o un codice, ma un evento e una persona: è Gesù. Gesù, dice Marco, si pone in continuità con quella linea di profetismo del secondo Isaia e nello stesso tempo costituisce una novità: la sua presenza è segno di una solidarietà di Dio nei confronti dell'umanità. Perciò è un nuovo 'inizio'.
Marco vede nelle parole e nell'azione del Battista il primo attuarsi di un grande raduno di tutti i popoli che apre i confini: la vicenda del Battista è tutta protesa verso Geù, sta nel richiamare l'attenzione verso di lui. Gesù viene 'dopo di lui', ma sarà Gesù - e questo è il grande 'annuncio bello' - a chiamare tutti a 'stare dietro' al suo cammino. E' il cammino del discepolo che Marco nel suo vangelo propone.
Alessandro Cortesi op
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