1Sam 3,3b-10.19; Sal 39; 1Cor 6,13c-15a.17-20; Gv 1,35-42
"Mi hai chiamato, eccomi!"... Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovinetto. Eli disse a Samuele: "Vattene a dormire e se ti chiamerà ancora dirai: Parla Signore, perché il tuo servo ti ascolta"
Inizia il tempo ordinario, il tempo delle cose normali, quelle di tutti i giorni: nella liturgia è questo il tempo dell'ascolto e dell'imparare a seguire Gesù. La prima lettura presenta il quadro di un racconto di chiamata. Alcuni elementi sono da cogliere: innanzitutto la chiamata del Signore non avviene in modo eclatante e meraviglioso. E' scambiata da Samuele più volte come la voce del sacerdote Eli con cui abitava presso il santuario. Le chiamate di Dio attraversano e stanno dentro alle cose ordinarie di tutti i giorni, si confondono con gli appelli e le voci che ci raggiungono nel quotidiano. In secondo luogo la chiamata è pronuncia di un nome, il nome proprio, unico e personale: il nome racchiude l'identità più profonda di una persona, nel nome sta una promessa ed una prospettiva di vita che dice l'unicità e l'originalità di ognuno, delle sue potenzialità, del dono di vita presente in lui o in lei. La chiamata di Dio non mira a far diventare altro (in questo senso sarebbe alienazione), ma è un appello a lasciar fiorire il nome che ci è stato dato; suscita apertura a lasciar spazio al desiderio di vita nelle sue manifestazioni originali e diverse che ognuno reca nel suo cuore.
Troppo spesso nella retorica della vocazione la chiamata del Signore è stata intesa come rinuncia o abbandono, e non è stato colto il senso profondo del compimento del nome nell'ordinarietà della vita. In terzo luogo la chiamata del Signore - ci dice questa pagina - non è colta immediatamente, può esigere l'aiuto di qualcuno, è un discernimento non chiaro faticoso. Ma come indica la figura così sfumata e sobria di Eli, questa presenza può essere solamente tramite perché quel nome pronunciato sia ascoltato e vi sia un incontro. La figura di Eli è molto bella: non invita il giovane Samuele a particolari pratiche religiose, ma lo spinge ad andare a dormire e a rimanere disponibile a rispondere a qualcosa o qualcuno che viene dal di fuori, che lo raggiunge in modo inatteso e che non può essere compreso e diretto da nessuno nemmeno dall'uomo di Dio, Eli. Il sonno, luogo del comunicarsi di Dio all'uomo nella Bibbia, è il momento in cui non sappiamo di dove venga e dove vada quella voce, voce dello Spirito: è momento in cui inizia un ascolto della vita, un comprendere la propria vita non in modo slegato dagli altri e da Dio, ma nella profondità di legami forti. Una vita nel servizio è questo.
"Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito santo che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi"
Paolo invita la comunità di Corinto a considerare la valenza del corpo: la domanda che può sorgere è 'che cos'è il corpo?'. Qui Paolo sembra introdurre nella mentalità dei Corinzi - condizionata da una valutazione del corpo limitata dall'idea del corpo come prigione dell'anima e mero strumento - un elemento dirompente: il corpo è più del corpo. 'Il corpo è per il Signore', è luogo di una relazione con Cristo e da attuare in tutta la concretezza della vita, nelle cose ordinarie dell'esistenza fatta di dimensioni concrete; nello stesso tempo 'il Signore è per il corpo'. Il corpo non è un mero contenitore o uno strumento della vera identità dell'io (l'anima, nella concezione greca), ma il corpo con la ricchezza dei suoi sensi e della vita che pulsa nelle membra è luogo di relazione, è fisicità che sente, è materia permeata della vita dello Spirito, è seme destinato a fiorire in una vita nella risurrezione (cfr. 1Cor 15): il corpo non può quindi né essere idolatrato, né svalutato come se non contasse nulla (a Corinto era presente la corrente degli spiritualisti e dei carismatici, mentalità religiosa che assume volti diversi nel tempo). Paolo utilizza l'immagine del corpo come tempio dello Spirito, "che è in voi". Un' affermazione fondamentale che apre ad una concezione nuova e diversa della corporeità, ancora non compresa e accolta con tutte le sue conseguenze nella storia delle chiese. C'è già una presenza dello Spirito nel corpo, lo fa vivere e suscita una vita in ascolto alle sue chiamate perché esso diventi sempre più 'tempio', cioè luogo di incontro e di relazioni vive, con Dio e con gli altri.
"Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse 'abbiamo trovato il messia - che si traduce Cristo - e lo condusse da Gesù"
Due discepoli di Giovanni il Battista rimangono colpiti del passare di Gesù: la prima domanda che a loro è rivolta è: che cosa cercate? L'intero IV vangelo è svolto sulla trame della ricerca. C'è ricerca e ricerca nei confronti di Gesù. Essi rispondono 'Rabbi, dove dimori?' anche il 'dimorare' è una parola chiave nella narrazione dell'incontro con Gesù: dimorare indica una relazione profonda intima di vita e sta ad indicare non una conoscenza per sentito dire, o di tipo intellettuale, ma una condivisione del tempo, della vita che passa attraverso la concretezza degli incontri umani. L'incontro con Gesù passa infatti attraverso il vedere, l'udire, l'andare, il parlare, il rimanere, l'incontrare...Sorge da qualcuno che si fa testimone, ma vive poi dell'esperienza diretta dell'andare, di una ricerca personale. L'incontro con Gesù, la ricerca di lui che matura, il rispondere alla sua chiamata, il seguirlo dove egli 'dimora', si compie nel corpo, nei gesti, nelle azioni del nostro vivere umano, quotidiano ordinario.
Un bel testo delle Lodi (lunedì 3 settimana) sintetizza in forma di preghiera questo percorso: 'Signore Dio, re del cielo e della terra, guida santifica e custodisci il nostro corpo e il nostro spirito, sentimenti, parole e opere, nell'amore della tua legge, a servizio della tua volontà, perchè oggi e sempre con il tuo aiuto procediamo sicuri nella via della salvezza'.
Alessandro Cortesi op