Ez 2,2-5; Sal 122; 2 Cor 12,7-10; Mc 6,1-6
“Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele… Dice il Signore Dio: ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genìa di ribelli – sapranno almeno che un profeta si tova in mezzo a loro”
L’esperienza di Ezechiele, uno dei grandi profeti del Primo testamento, è analoga a quella di tanti altri chiamati ad essere testimoni di una parola di Dio davanti al suo popolo. La storia di Israele è segnata dalla presenza di persone che avvertono nella loro vita una chiamata che cambia l’esistenza e spinge ad una missione, una chiamata che viene da altrove, da Dio. Ezechiele esprime questo dicendo: “uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava”. Il profeta, uomo della Parola, chiamato a farsi annunciatore scomodo, si rende disponibile ad una forza che non proviene da lui, avvertita come forza dello spirito di Dio. E’ un’esperienza comunicata secondo le modalità della chiamata ad un ascolto: Dio parla e la sua parola è affidata come invio per una missione e un compito nei confronti di altri. Ezechiele, chiamato in un tempo drammatico, sei anni prima che Gerusalemme venga distrutta dai babilonesi comandati da Nabucodonosor nel 587, è consapevole di dover rivolgersi ad un popolo dal cuore indurito. Il profeta è inviato a smascherare le ipocrisie di una vita in cui è presente un rifiuto di Dio ed il venir meno alle esigenze della giustizia: la sua predicazione è di scandalo, perché per essere fedele alla parola ricevuta si scontra con i poteri politici e religiosi.
“…che sapienza è mai questa che gli è stata data?... Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, Joses, Giuda e Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi? E si scandalizzavano di lui”
La pagina del vangelo descrive una scena che sintetizza il rapporto tra Gesù e i suoi compaesani, gli abitanti di Nazareth.
Di Gesù i suoi compaesani sanno tutto: la famiglia, le sue origini, il suo mestiere. Proprio l’essere carpentiere - o artigiano che faceva lavori di fabbro e di manovale - è valutato con senso di sufficienza. Gesù agli occhi dei suoi compaesani non ha nulla di particolare, nulla che consenta di ammirarlo o di considerarlo degno di stima. Di lui si conosce la sua parentela, espressa nei termini dei fratelli e sorelle: la sua vita è troppo vicina a quella di un uomo normale, senza elementi eccezionali. I compaesani di Gesù nascondono nella loro reazione la delusione e il distacco perché Gesù non corrisponde alla loro attesa di un personaggio eccezionale, di una figura carismatica sulla quale proiettare la sete di meraviglioso e da cui attendere la soluzione di problemi contingenti. Gesù in questo li delude: la sua vita è troppo vicina e uguale alla loro, è una vita povera. Gesù fa propria l’esperienza e il rifiuto subito dai profeti. Marco legge l’atteggiamento dei compaesani come segno di incredulità: “E non vi potè operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità”. Coloro che manifetsano scetticismo e distanza nutrono – si potrebbe dire - una conoscenza umana, “secondo la carne” (2Cor 5,16) che non si lascia interrogare, che non si apre a porsi la domanda sulla profonda identità di Gesù: ‘essi si scandalizzavano di lui’. ‘Skandalon’ significa ‘inciampo’ ed è un ostacolo prodotto dalla durezza di cuore. Il rimprovero di un cuore sclerotico ritorna nel vangelo di Marco rivolto a tutti coloro che sono chiusi in una visione fatta di pregiudizi e pretese di conoscenza esaustiva che non si lascia interrogare e smuovere (cf. Mc 3,5; 10,5, 16,14). Gesù per loro diviene ‘la pietra di scandalo’, la roccia su cui si inciampa (Is 8,14; cf. Rm 9,32-33; 1Pt 2,8). I vicini di Gesù, coloro che lo conoscono per la sua provenienza proprio loro hanno un giudizio di distacco e di sospetto. Proprio per questa chiusura del cuore e dello sguardo interiore “non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì”. Gesù pone segni di guarigione e di vita nonostante il rifiuto. Nel quadro del vangelo questo episodio è posto immediatamente prima della sezione dedicata ad alcuni miracoli di Gesù, in cui è lodata la fede di coloro che a lui si affidano (Mc 4,35-5,43). E’ così evidenziato il contrasto tra i vicini, compaesani, che non si lasciano interrogare dalla sua presenza e chi invece, venendo da lontano, è aperto all’incontro con lui e vive l’atteggiamento di una fiducia che si affida senza pretese e senza chiusure.
“Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimora in me la potezna di Cristo”
Nella seconda lettura Paolo ai Corinzi afronta la questione del vero vanto che si contrappone ad ogni vanto inutile e vano proveniente dalla pretesa di grandezza umana o di autogiustificazione. Paolo sa di non potersi ritenere superiore agli altri. Il suo vanto ha per motivo quanto il Signore ha compiuto nella sua vita: “Egli mi ha detto: ti basta la mia grazia. La forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. Paolo esprime così la grande scoperta che gli ha cambiato l’esistenza sulla via di Damasco e che ha segnato la sua missione: “volentieri voglio piuttosto vantarmi delle mie debolezze, perché abiti in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio per amore di Cristo delle debolezze, degli oltraggi, delle avversità, delle persecuzioni, delle angustie. perché quando sono debole, proprio allora sono forte”.
Nella sua esistenza Paolo vede con chiarezza la sua debolezza, segno della sua radicale incapacità di salvarsi con le sue forze, siano quelle del livello sociale, della cultura o della religione. Questa radicale debolezza è il luogo in cui si manifesta la potenza di Cristo. La sua vita non ha qualcosa di cui vantarsi ma è luogo in cui per la fede Cristo agisce con potenza. Il Dio che si è fatto vicino nella ‘scandalosa vicinanza’ di Gesù di Nazareth è il Dio della grazia che mostra la sua potenza nella vita normale e quotidiana, di un uomo segnato dalla sofferenza e dalla fatica. E’ invito a cogliere i segni della grazia di Dio che agisce e si fa vicino non nelle manifestazioni di potenza e in ciò che attrae per la sua grandezza, ma nella povertà e nell’esistenza di chi umanamente non è valutato e non conta: “Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono” (1Cor 1,27-28).
Alessandro Cortesi op