Il recentissimo 1° incontro zonale delle Fraternite laiche di san Domenico - tenutosi a Caltanissetta l’8 Febbraio scorso ed aperto dalla relazione di padre Giuseppe Damigella sul tema “Laicato, non solo devozione” - sollecita alcune brevi notazioni, essenziali, secondo me, per comprendere adeguatamente il rapporto che corre tra Laicato e devozione.
Nell’accingermi ad illustrare queste note, premetto però che terrò conto dello schema, fondamentale per l’intera Chiesa, della c.d. lectio divina, ossia del percorso che conduce il fedele dalla “lettura” cristiana (atteso che la nostra è una “religione del libro”) all’ “azione” cristiana.
1) LECTIO (Lettura) - L’agire cristiano ha quale fonte precipua la Sacra Scrittura, che - unita alla Tradizione - reca la Rivelazione della medesima fede cristiana.
Invero la “Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura… scaturiscono dalla stessa divina sorgente” e “rendono presente… nella Chiesa il Mistero di Cristo” [1]. E’ dunque dovere di ogni cristiano, compreso il laico domenicano [2], conoscere i contenuti della predetta Rivelazione [3].
2) ORATIO (Preghiera) - Ma la fase della lettura dev’essere seguita dalla preghiera, momento altrettanto importante per il fedele e per il laico di san Domenico [4].
L’orazione, infatti, è alimento imprescindibile del successivo contegno del credente, vuoi come singolo vuoi come membro della Chiesa. Invero Cristo, Maria e i Dodici, “assidui e concordi nella preghiera” [5], esprimono la Pentecoste della Chiesa [6]: la ricezione dello Spirito Santo da parte della Chiesa stessa per il susseguente apostolato universale.
3) MEDITATIO (Riflessione. Studio) - La preghiera inclina, poi, alla meditazione (personale e comunitaria) di quanto è stato letto e su cui si è pregato.
Tale meditazione, peraltro, consente al cristiano di ‘metabolizzare’ la fede, facendola propria secondo il personale carisma. La meditazione, pertanto, “è soprattutto una ricerca. Lo spirito cerca di comprendere il perché e il come della vita cristiana, per aderire e rispondere a ciò che il Signore chiede” [7]. Tuttavia il laico domenicano ha, rispetto alla meditatio, un dovere particolare, un dovere cioè che, a fronte di quello generale che incombe su tutti i fedeli e sui laici, si atteggia in modo peculiare. Poiché, infatti, ha per statuto il compito dello studio [8] (della Bibbia quale costantemente insegnata dal Magistero ecclesiale), egli non può che dedicarsi a fondo a quest’attività, indispensabile non solo per la sua formazione, ma anche per la santificazione del mondo [9], in cui il laico agisce a vario titolo.
4) CONTEMPLATIO (Contemplazione) - Dalla riflessione è auspicabile che, dopo, derivi (e normalmente discende, quasi per spontaneo trasporto) la contemplazione, ovvero un fascinoso rapimento per le realtà della fede, quasi a mo’ di un innamorato che si nutre della visione dell’amata.
Questa contemplazione è propria della Chiesa tutta - ad un tempo umana e divina, immanente e trascendente -, in cui l’azione è subordinata alla contemplazione medesima [10]. Ma questa contemplazione è talmente propria anche del laico domenicano che, per Tommaso d’Aquino, compendia (e diviene !) la missione di tutto l’Ordine [11].
5) OPERATIO (Azione. Predicazione) - Ma la conoscenza della fede cristiana - quale letta, pregata, meditata e contemplata - non può che portare all’agire cristiano: concreto, quotidiano, persino lacerante. In nome della fede e a testimonianza della stessa.
Infatti la fede, “se non ha le opere, è morta in se stessa” [12]. Asserzione questa, peraltro, coerente con quanto Cristo stesso ha insegnato agli apostoli: “gli uomini… vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” [13].
Alla fine del percorso della lectio divina, come applicato allo specifico mandato di cui il laico domenicano è titolare, dunque pare chiaro come il sole che il Laicato muove senz’altro verso una giusta devozione (in particolare all’Eucarestia e alla Madonna [14]). Ma non verso il devozionismo, che - puramente autogratificante [15] - si limita all’assistenza alla Messa e alle azioni sacre in genere, senza andare “fuor di sacrestia”.
Occorrono, allora, le opere !
Lo dimostra anche la cultura artistica cristiana, come ad esempio la torre campanaria della cattedrale di Palermo, sulla quale campeggia la scritta: “operibus credite”. Opere che Cristo stesso, modello per ogni credente, poneva in essere: toccando, guarendo, predicando, santificando. Opere che, per i laici domenicani, consistono indubbiamente e finalmente nella predicazione, ossia nell’annuncio della Verità di Cristo e della sua Chiesa al mondo. Ma non solo !
La predicazione, infatti, sarà tanto più penetrante quanto più si sposerà, indissolubilmente, con la testimonianza [16]. Specie nel tempo che viviamo, infatti, l’uomo - per dirla con Paolo VI - non ha bisogno di maestri, ma piuttosto di testimoni: uomini e donne non meri annunciatori, bensì autentici perfezionatori del secolo [17]. Testimoni quali il Laicato domenicano annovera, copiosamente, tra le sue fila: Sturzo e Frassati sono solo alcuni tra i più vicini temporalmente a noi. Caratterizzati, nel contempo, dalla tenerezza di una madre e dalla durezza di un diamante (per citare Lacordaire che si riferiva allo stesso Guzmàn [18]). Spinti ad animare in senso cristiano l’opprimente realtà socio-politica che avevano di fronte.
Ma tale flessibilità/tenerezza (carità) e determinazione/durezza (giustizia) ha ispirato, più recentemente, anche Moro, vero statista democratico-cristiano, che aprì la linea governativa dell’Italia a diversi “uomini di buona volontà” (Giovanni XXIII), e che, qualche giorno prima di morire assassinato dall’allucinazione terroristica delle Brigate Rosse, scrisse - accettando “le vie del Signore” - di voler “capire… come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo [19].
Bellissimo come la luce di Cristo.
Godibile, seppur non in pienezza, già su questa terra e che i laici di san Domenico continuano instacabilmente a testimoniare all’uomo di ogni tempo, luogo e condizione.
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Salvatore Scaglia - Palermo, 24-2-2004
[1] Catechismo della Chiesa cattolica, § 80.
[2] Sulla strada tracciata dal Padre fondatore, che con “tanta assiduità e avidità” beveva “ai rivoli della S. Scrittura”.
Così il beato Giordano di Sassonia, in Libellus n. 7, pagg. 21-22.
[3] Cf. Codice di diritto canonico, can. 209, § 2°.
[4] Cf. Costituzione fondamentale, n. 4, § 2°.
[5] Atti, I, 14.
[6] Cf. ancora Catechismo della Chiesa cattolica, § 726.
[7] Ibidem, § 2705, parte iniziale.
[8] Cf. Costituzione fondamentale, n. 4, § 2°.
[9] Cf. ibidem, n. 7.
Il laico di Domenico, infatti, non può parlare agli altri di Dio se non parla, prima, con Dio stesso.
[10] Cf. nuovamente Catechismo della Chiesa cattolica, § 771.
[11] Si ricordi, a questo proposito, il celeberrimo “contemplari et contemplata aliis tradere”.
[12] Lettera di Giacomo, II, 17.
Ma v. anche I, 16-27.
[13] Vangelo secondo Matteo, V, 16.
[14] Cf. Direttorio nazionale, art. 13, §§ I e II.
[15] Questo è un, riduttivo, atteggiamento mentale e pratico, che cerca solo se stesso e non l’altro, l’esclusione e non l’inclusione. Tale atteggiamento, peraltro, produce un minimalismo etico, per cui sarebbe sufficiente pregare e non necessario agire: coerentemente e per un mondo migliore.
[16] Per quest’impostazione, eloquentemente, nell’Ordine stesso si prega, affinché “i Laici Domenicani… possano contribuire alla salvezza del mondo con l’efficacia della parola e della loro testimonianza” (Invocazioni, in Piccolo Breviario, Liturgia delle Ore, Ufficio della beata Vergine Maria, Lodi mattutine).
[17] Cf. di nuovo Codice di diritto canonico, can. 225.
[18] Per un approfondimento cf. Beato Pier Giorgio Frassati, terziario domenicano, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 2001, pagg. 46-47.
[19] A. Moro, Lettera alla moglie Eleonora (recapitata il 5 Maggio 1978), parte finale.